Il Concilio Vaticano II - 8/8
Uneba Napoli tratta con il Comune e cerca l’appoggio del presidente della Regione Campania Stefano Caldoro
Martedì 23 aprile alle 16.30 presso il centro Don Guanella in via Don Guanella 20 a Napoli si tiene l’assemblea provinciale di Uneba Napoli. All’ordine del giorno i temi da tempo aperti, cioè le trattative per il rinnovo della convenzione con Fondazione Banco Napoli e la vertenza con il Comune di Napoli.
Su ambo i temi Uneba Napoli continua la sua opera di difesa degli interessi degli enti e, soprattutto, dei minori assistiti dagli enti.
Uneba Napoli ha incontrato il vicesindaco di Napoli Tommaso Sodano per discutere il piano di rientro del Comune di Napoli dai debiti ed ha anche insistito nuovamente con gli uffici comunali per sollecitare la conclusione dei pagamenti del cosiddetto 39% del 2012 ed avviare il 2013.
Ma Uneba Napoli si è rivolta anche alla Regione: la delegazione della nostra associazione ha parlato con il presidente Stefano Caldoro che ha promesso impegno affinché venga garantito il prosieguo delle attività di assistenza semiconvittuale ai minori assistiti dalla Fondazione Banco Napoli
2005 – Alle 21:37 muore Papa Giovanni Paolo II
2005 – Alle 21:37 muore Papa Giovanni Paolo II. Quando viene data la notizia ufficiale, le migliaia di persone raccolte spontaneamente davanti alla Basilica di San Pietro danno vita ad una veglia di preghiera che praticamente si svolge senza sosta
Il Concilio Vaticano II - 7/8
La preghiera di papa Francesco steso a terra
di Paolo Rodari
rassegna stampa-fonte-
la Repubblica
«A volte ci sembra che Dio non risponda al male, che rimanga in silenzio. In realtà Dio ha parlato,
ha risposto, e la sua risposta è la croce di Cristo: una Parola che è amore, misericordia, perdono».
Dopo un’ora e mezzo col capo chino e in silenzio, spesso con gli occhi chiusi in meditazione, Papa
Francesco prende la parola al termine della Via Crucis al Colosseo e parla del male presente nel
mondo e «in noi». Spesso Dio sembra silente, spiega il Papa. Ma la sua risposta c’è ed è la croce di
Cristo, il suo abbassamento, la sua prostrazione come quella del Papa in San Pietro ieri pomeriggio
prima dell’arrivo al Colosseo.
È uno dei momenti più carichi di significato del Venerdì santo. Francesco, il Papa che ha tessuto
tutto questo inizio di pontificato sulla necessità di un ritorno a una Chiesa «umile», «dei poveri»,
che abbandoni il «narcisismo» e la «mondanità», si prostra a chiedere aiuto.
L’immagine migliore di un papato che vuole mettersi al servizio,
di un Papa che intende essere pastore e, dunque, capo di
una Chiesa che ha nella radicalità evangelica e insieme nella necessità della conversione il suo
significato più profondo. E nelle meditazioni scritte sempre per la Via Crucis dai giovani libanesi
insieme al patriarca Bechara Boutros Rai emergono quei molti «Pilato » che «tengono nelle mani le
leve del potere e ne fanno uso al servizio dei più forti». Al peso della croce che piega le spalle di
Gesù, affermano, si aggiunge quello del mondo che piega le sue spalle sotto il «laicismo cieco», che
vuole soffocare la fede e la morale, o il «fondamentalismo violento che prende a pretesto la difesa
dei valori religiosi».
Il ritorno a una Chiesa umile, che vive della croce, è anche nelle parole del predicatore della
Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, che sempre ieri pomeriggio in san Pietro ha ricordato
come nell’edificio della Chiesa, nel corso dei secoli, «per adattarsi alle esigenze del momento» si
sono costruiti tramezzi, scalinate, stanze e stanzette.
Eppure «arriva il momento quando ci si
accorge che tutti questi adattamenti non rispondono più alle esigenze attuali, anzi sono di ostacolo,
e allora bisogna avere il coraggio di abbatterli e riportare l’edificio alla semplicità e linearità delle
sue origini». Cantalamessa, francescano come Jorge Mario Bergoglio, ha citato il racconto di Franz
Kafka intitolato “Un messaggio imperiale”.
Come il castello di Kafka, anche la Chiesa è fatta di
«muri divisori, a partire da quelli che separano le varie chiese cristiane tra di loro, l’eccesso di
burocrazia, i residui di cerimoniali, leggi e controversie passate, divenuti ormai solo dei detriti…».
Ma a un certo punto tutto questo deve essere abbattuto. Ha detto ancora Cantalamessa: «È stata
proprio questa la missione ricevuta da San Francesco davanti al crocifisso di San Damiano: “Va’,
Francesco, ripara la mia Chiesa”».
Nella giornata in cui la Chiesa ricorda la passione di Gesù, anche una notizia ludica. Nei prossimi
mesi in onore di Papa Francesco, Italia e Argentina organizzeranno un’amichevole di calcio. L’idea
è stata lanciata dal ct italiano Cesare Prandelli.
Jesuit Provincial of Argentina on Pope Francis
Jesuit Provincial of Argentina on Pope Francis
Che cosa deve fare un vescovo se non aprire le porte?”: papa Francesco raccontato da Buenos Aires
Il direttore del mensile Ciudad Nueva, rivista espressione del Movimento dei focolari in Argentina, ha seguito per anni l’operato del nuovo Papa come arcivescovo di Buenos Aires. In esclusiva per Popoli, Alberto Barlocci traccia un ritratto dello stile pastorale di Jorge Mario Bergoglio: dai rapporti con il potere politico alla sobrietà e semplicità degli atteggiamenti, dall’amicizia con i poveri alle relazioni fraterne con i suoi sacerdoti.
Alcuni aspetti del carattere di papa Bergoglio - che il mondo sta imparando a conoscere in questi giorni - descrivono molto bene quello che è stato il nostro arcivescovo per tanti anni. Per esempio la sua austerità personale non è certo qualcosa di estemporaneo. Da tempo il cardinale ha rinunciato alla sede usata tradizionalmente dai presuli di Buenos Aires, all’auto e all’autista, per abitare una stanzetta dell’arcivescovato e muoversi in bus o in metropolitana. Varie foto lo ritraggono mentre parla con la gente per strada o sui mezzi pubblici.
La sua austerità ha sorpreso più di una volta. Ad esempio, si racconta che in occasione di un incontro interreligioso, quando i partecipanti sono arrivati in arcivescovato, hanno trovato ad aspettarli al portone lo stesso Bergoglio, senza alcun collaboratore. E lui, con quel senso dell’humor misto a una punta di verità, ha detto loro: «Che cos’altro deve fare un cardinale se non aprire porte?».
Già, che cos’altro deve fare un cardinale o, meglio, un vescovo? Dovrebbe anzitutto stare con il suo popolo. Lo ha detto subito, appena eletto, dal balcone della Basilica di San Pietro. Con la sua elezione si è iniziato un percorso nel quale il pastore cammina insieme al suo popolo e il popolo con il suo pastore.
Anche da vescovo, Jorge Mario Bergoglio ha saputo accompagnare la sua gente. ha sempre accompagnato i meno abbienti, i più deboli, i poveri, gli ammalati. «Ha celebrato per noi innumerevoli messe, tra i cartoneros (i raccoglitori di cartoni dalla spazzatura), nelle villas miserias (baraccopoli), tra i disoccupati - commenta Emilio Persico, parlamentare fortemente impegnato nel sociale -. Ha sempre avuto una parola per noi».
Bergoglio ha sempre messo in guardia dai facili entusiasmi per le forti crescite macroeconomiche, soprattutto in presenza di grandi masse di diseredati. E per questo non ha esitato a inviare i suoi sacerdoti nelle villas miserias. Ha curato la loro formazione e li ha appoggiati in ogni momento. Si è spesso recato da loro sapendo che occupavano un posto di «frontiera», un’espressione a lui cara e che indica i luoghi nei quali oggi deve stare la Chiesa.
Le sue parole sono spesso state intepretate dal governo di Nestor Kirchner, prima, e poi della moglie e attuale presidente Cristina, come un rimprovero o una critica. Gli attacchi, a volte anche con toni beceri, non si sono fatti attendere. Ma, da attento lettore della realtà sociale e politica, Bergoglio ha continuato la sua azione pastorale, mettendosi sempre dalla parte di chi attende giustizia e non clientelismo, da chi deve essere aiutato e non usato ai fini elettorali.
Innervositi dalle sue omelie in occasione del Te deum che tradizionalmente si celebra a maggio nella cattedrale di Buenos Aires, per ricordare l’inizio della rivoluzione che condusse all’indipendenza, i Kirchner hanno preferito visitare altre diocesi, dove sapevano che non avrebbero incontrato Bergoglio. La sua voce però non ha taciuto: «A Buenos Aires, la schiavitù non è stata abolita. Qui c’è chi lavora ancora come lavoravano gli schiavi», ha predicato davanti ai membri della Ong La Alameda (che significa «il pioppeto»), instancabili attivisti contro la tratta di donne per fini sessuali e contro il lavoro in condizioni di schiavitù nei tanti atelier tessili clandestini o tra gli stagionali che arrivano dai Paesi vicini per la vendemmia o la raccolta della frutta. Piaccia o meno ai potenti, lui ha continuato imperterrito a stare dove sentiva di dover essere: tra la gente che soffre.
Il 30 dicembre 2004, una torrida giornata di fine d’anno a Buenos Aires si è conclusa tragicamente con un incendio nella discoteca Cromañón, dove si teneva un concerto rock. Il rogo, scatenato dal lancio di un bengala, si è propagato fulmineo: alla fine si sono contati quasi cento morti e centinaia di intossicati. La città, ancora una volta, è stata colpita duramente dall’assenza di controlli, dalla corruzione e dall’irresponsabilità (i gestori della sala avevano tenuto chiuse con le catene le uscite di sicurezza). Bergoglio ha voluto che la Chiesa accompagnasse questo momento di dolore. Per molte persone colpite dalla tragedia quella vicinanza ha rappresentato una consolazione e per qualcuno addirittura il ritrovare una fede che sembrava aver perduto. Per tanti è stato l’incontro con una Chiesa vicina, amica, sorella e madre.
È accaduto lo stesso nel febbraio dello scorso anno, quando la negligenza, l’irresponsabilità e la corruzione hanno provocato la tragedia ferroviaria della stazione Once, in pieno centro città: 51 morti e centinaia di feriti. Anche in quell’occasione, l’arcivescovo di Buenos Aires ha saputo mettere la Chiesa al servizio della povera gente costretta a viaggiare su servizi pubblici in condizioni pessime.
L’arcivescovo che, per scelta personale, non concedeva interviste (chi scrive ha tentato varie volte di ottenere un colloquio con lui, ma senza successo), aveva però chiare le priorità. E tra queste c’erano indubbiamente i sacerdoti della sua diocesi. In un mondo nel quale la vocazione sacerdotale è un’avventura, i suoi presbiteri sapevano di poter poter fare affidamento in lui in qualsiasi momento, certi di trovare un fratello, un amico, un padre, una luce. Prima di far visita a un parroco, gli faceva una telefonata discreta. Poi, arrivato sul posto, si fermava a lungo con il sacerdote, magari sorseggiando insieme a lui un mate (la tipica bevanda argentina).
Occasioni in cui appariva con forza anche la sua profonda formazione teologica e la sua grande esperienza pastorale. Bergoglio era capace di scrutare i meandri dell’anima, lì dove la Chiesa «esperta in umanità» può fare miracoli.
Davanti a una tale sensibilità, si comprende allora come si sciolgano come neve al sole le accuse infondate di collusione con la dittatura o di non aver protetto alcuni sacerdoti sequestrati. Hanno calunniato Gesù, non possono sperare meno i successori degli apostoli. Anche in questo caso, Bergoglio risponderebbe con il silenzio.
Alberto Barlocci
Direttore di Ciudad Nueva
www.popoli.it
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