Una giornata in carcere mi ha insegnato la pietà
di Michele Grotto
rassegna stampa Corriere della Sera del 5 febbraio 2017
Ho 19 anni. Due anni fa sono stato in carcere a Padova, al Due Palazzi. Un giorno, ed è bastato.
Un’iniziativa nata grazie a «Ristretti Orizzonti», il giornale che scrive dal e sul carcere, e a due
professoresse del liceo Marco Belli di Portogruaro, la scuola che ho frequentato.
Un’esperienza che vale più di tante cose che ho imparato tra i banchi. Faccia a faccia con la vita di
cinque detenuti, anzi cinque persone, ancor prima di essere detenuti. Gianluca, Lorenzo, Erion,
Biagio e Andrea. Gianluca, un medico chirurgo che non ha saputo chiedere aiuto, e ha ucciso sua
moglie. Lorenzo, il rapinatore che ha passato i suoi primi dieci anni di vita senza padre, lui stesso in
carcere per rapina. Erion, albanese, arrivato in Italia a sei anni, con un passato di ribellione, armi e
droga. Andrea, ex insegnante,stesso reato di Gianluca. Infine Biagio, ergastolano, rinchiuso già da
17 anni.
La storia più straziante per me. Aveva perso la parola dopo tanti anni in isolamento, dopo tanto
lavoro, l’ha recuperata se così si più dire. Ha pianto raccontandoci della sua condanna a vita. Sono
d’accordo con papa Francesco: l’ergastolano è un condannato a una pena di morte mascherata.
Come si fa a vivere una vita senza più prospettive?