La parola più bella …..
..sulle labbra del genere umano è “Madre”,
e la più bella invocazione è “Madre mia”.
E’ la fonte dell’amore, della misericordia,
della comprensione, del perdono.
Ogni cosa in natura parla della madre.
Kahlil Gibran
Il medico dei pazzi:Sergio Piro e la sofferenza psichica
Il medico dei pazzi, 2007 Intervista a Sergio Piro celebre psichiatra campano. Dal giugno del 1959 al febbraio del 1969 e’ stato Direttore dell’Ospedale Psichiatrico Materdomini di Nocera Superiore (SA) qui iniziò un esperimento di psichiatria alternativa che divenne una “comunita’ terapeutica”, la seconda in Italia dopo quella di Basaglia a Gorizia. E’ stato membro della Segreteria nazionale di Psichiatria Democratica dal 1976 al 1981 e poi del Coordinamento Nazionale. E’ stato Direttore dell’Ospedale Psichiatrico “L.Bianchi” di Napoli (III Unita’) dal giugno 1974 al 1975. Ha ricoperto la funzione di Direttore dell’Ospedale Psichiatrico “Frullone” di Napoli, funzione che assunse nel dicembre del 1975. Salvatore Manzi attraverso la ricomposizione dellintervistato elabora una figura indefinita, quasi onirica, unallucinazione disturbata, quasi ad ipotizzare un disagio mentale del fruitore. Video: Salvatore Manzi Durata: 6 minuti Anno: 2007
Ci piace ricordare,a pochi mesi dalla sua scomparsa Sergio Piro,uno dei padri della psichiatria napoletana e italiana
Una delle sue frasi preferite era la seguente: «Dobbiamo essere attenti a non farci intrappolare dalle parole. La categoria “malato mentale” è una trappola». Lo conoscemmo negli anni 70′,
quando, per una serie di motivi,
la Federazione Lavoratori Metalmmeccanici,insieme ad un gruppo di insegnanti,
volle organizzare un corso delle 150 ore presso l’Ospedale Psichiatrico “Frullone”
di Napoli, dove Sergio Piro era Direttore.
Fu una esperienza incredibile,per tutti coloro che parteciparono;il contatto con il sofferente psichico determinava un riconoscimento della diversità dell’altro,che ti sta’ davanti.
Cosa di non poco conto in quegli anni.
Il campo di ricerca e di lavoro di Piro non si limitò alla psichiatria, scrisse e si occupò di ricerca semantica - antropologica, di linguistica, di epistemologia, coniugando gli aspetti teorici con un impegno diretto nelle lotte anti-istituzionali, nelle esperienze territoriali e nella costruzione di un servizio sanitario in grado di prendersi realmente in carico il sofferente psichico. Precursore del movimento di critica psichiatrica, scrisse due opere che rimangono punti di riferimento del movimento: Il linguaggio schizofrenico nel 1967 e Le Tecniche della Liberazione nel 1971. Dedicò l’ultima parte del suo lavoro di ricerca all’abbandono degli “psichiatrizzati” da parte dei servizi di salute mentale (Osservatorio dell’abbandono).
Un sofferente psichico, proprio per la sua “fragilità “, può trovarsi all’improvviso,senza identità,deluso e depresso, senza una casa, senza un lavoro,,senza le basi fondamentali per una pari dignità umana.
Montesanto, il Far West fa paura Fiorenzano chiude e se ne va
Fast food era ancora una espressione sconosciuta e Fiorenzano era già lì. Tappa obbligata per studenti e professori reduci dalla scuola, impiegati, medici ed infermieri del vicino ospedale, popolane impegnate negli acquisti alla Pignasecca.
La friggitoria ha deliziato per ottant’anni napoletani e turisti, prima nella sede di via Portamedina, poi in quella di fronte alla Cumana.
A chi camminava affaccendato per Montesanto regalava dieci minuti di ritorno all’infanzia, con le mani unte di olio e la bocca piena di crocche’, panzarotti, pizze fritte, frittelle di fiori di zucca e zeppole.
Felici ed immemori del colesterolo e dei trigliceridi. Tutto finito, Fiorenzano chiude. Colpa, racconta, della sempre maggiore invivibilità della zona e degli affari che vanno tutt’altro che bene.
Un annuncio, il suo, che arriva esattamente il giorno dopo le scene da Far West che si sono viste di fronte alla Cumana, con i killer della camorra che sparavano tra la folla delle sette di sera e due innocenti colpiti: un ragazzino ferito ad una spalla ed un musicista rom ammazzato. «Quella di ieri», racconta Ciro D’Elia, poco più di 50 anni, che gestisce il locale con la moglie Titina, «è stato solo l’ultimo episodio. Mi aiuta a prendere una decisione che avevo già in testa da tempo».
Amara perché lui tra pizze e panzarotti ci è cresciuto. «Ho cominciato racconta - quando avevo soltanto 8 anni. Mia nonna, che di cognome faceva Fiorenzano ed aveva sposato Ciro D’Elia, preparava le pizze. Io friggevo.
La mia famiglia sta qui dalla fine dell’ottocento. Si lavorava in un basso di via Ventaglieri. Poi, negli anni trenta del secolo scorso, il primo negozio, quello di via Portamedina». Non si vive, però, solo di ricordi e dell’orgoglio di un mestiere .
«Ho due figli, uno di 18 anni - dice D’Elia - . Farli vivere qui in mezzo non è possibile, non è pensabile. Rischio che me li rovinino e davvero questo non lo potrei sopportare».
Richieste estorsive, giura e spergiura, non ne ha mai ricevute.
Lo preoccupa, però, una città che vede ogni giorno di più incarognita, aggressiva, violenta, cinica. Il resto lo hanno fatto la crisi, i bilanci di fine giornata tutt’altro che entusiasmanti. Con la friggitoria chiude anche la pizzeria gestita dalla famiglia. Ieri, a ora di pranzo, un solo cliente.
Alle pareti le foto dei tempi che furono: il bisnonno di D’Elia in negozio, un diploma, una dedica del batterista Tullio De Piscopo.
Ciro le guarda e commenta, amaro: «A Napoli per fare i soldi devi essere disonesto».
fonte-
Fabrizio Geremicca da il Corriere del Mezzogiorno
NAPOLI :SCUOLE RELIGIOSE ASSISTONO 3MILA BAMBINI.
Che fanno le Istituzioni ?
Andrea Acampa - Rassegna Stampa -
-SONO FIGLI DI INDIGENTI. SALTA - ANCHE LA COLONIA DI GIUGNO-
Niente soldi, la “Santa Patrizia” rischia la chiusura-
Alunni che rischiano di trovarsi in strada e genitori disperati. È questa
la situazione che si prospetta, per centinaia di minori che frequentano
la scuola presso il complesso conventuale di San Gregorio Armeno. È
da luglio 2007, infatti, che l’istituto, retto dalle suore crocifisse devote
a Santa Patrizia, non riceve fondi dal Comune – come tanti altri
istituti - per pagare gli insegnanti, per il servizio di refezione, il
doposcuola e le tante attività che si svolgono nel semiconvitto. Sono
60 i centri gestiti da religiosi in città che fanno capo all’Uneba (Unione
nazionale istituti ed iniziative di assistenza) ed assistono più di 3mila
bambini. «Probabilmente – commenta Pasquale Puziello, genitore di
uno dei piccoli alunni - non riusciremo nemmeno a mandare i
ragazzini in vacanza. Le suore quando chiudeva la scuola a giugno
organizzavano una sorta di colonia estiva ed una serie di attività per
tutto il mese di luglio per venire incontro a chi ha difficoltà». Ieri
genitori, insegnanti e suore si sono riuniti per fare il punto della
situazione e, se i fondi non arrivano o non c’è risposta da Palazzo San
Giacomo, con ogni probabilità la prossima settimana scenderanno tutti
insieme in strada per protestare davanti al Comune. «I genitori – dice
Modestino Caso, consigliere della IV Municipalità – che portano i
propri figli in queste scuole sono indigenti, alcuni hanno alle spalle
problemi con la giustizia oppure sono vittime di droga e pertanto,
interrompere le lezioni sarebbe un crimine». La giunta ad ottobre
scorso ha ratificato il sovvenzionamento ed il consigliere Mario
D’Esposito, presidente della commissione mobilità, si è interessato
della vicenda che coinvolge anche il Corrado Ursi, il don Bosco ed il
Santa Rita. Ad oggi, però non è arrivato nemmeno un euro nelle casse
degli istituti che, per ora, stanno pagando con fondi propri
indebitandosi pur di non interrompere le lezioni. «È una vergogna –
commenta Antonio D’Andrea dell’associazione “Caraccioli del Sole” -
le istituzioni locali sono sorde alle nostre richieste».
Andrea Acampa
fonte IL ROMA-
Martedi 19 maggio 2009
Tragica mattinata a Napoli, 3 morti:avvocato, impiegato, un 35enne dell’Est
-un giallo, un suicidio e un infarto-
-fonte corriere del mezzogiorno-
Un cadavere in un’auto, dipendente si getta dalla finestra
di Equitalia, un avvocato muore di infarto in Tribunale
NAPOLI - Tre morti, a poche ore l’una dall’altra, hanno tinto di nero questa mattinata napoletana. Alle prime luci dell’alba, è stato ritrovato in un’automobile il corpo di un cittadino est europeo senza vita. Negli uffici della questura, invece, un uomo si è ammazzato lanciandosi da una finestra. E’ stato, infine, colto da infarto un avvocato di 34 anni davanti al Palazzo di giustizia.
GIALLO SUL MORTO IN AUTO - Aveva 35 anni, e proveniva probabilmente dall’est europeo. E’ stato trovato all’interno di un’auto, una Mazda 626 con targa lituana, in via Reginelle, località Monteruscello a Pozzuoli, nel Napoletano. Il corpo dell’uomo, che non aveva documenti addosso, era avvolto in una coperta e si trovava sul sedile posteriore. Per il medico legale la morte è stata provocata da un arresto cardiocircolatorio, effetto di una asfissia determinata da impiccagione. Sul fatto indagano i carabinieri: l’uomo potrebbe essersi ucciso o essere stato ammazzato in un altro luogo e poi portato nella vettura. Il corpo è all’obitorio del Secondo Policlinico di Napoli dove verrà effettuata l’autopsia.
SUICIDIO IN EQUITALIA - Un giovane dirigente di 32 anni, di origine palermitana, si è suicidato oggi a Napoli, lanciandosi dagli uffici della società Equitalia, per la quale lavorava come responsabile degli Affari societari. L’uomo è morto probabilmente sul colpo, dopo essersi buttato giù dal quindicesimo piano dell’edificio in cui si trova fra l’altro, ai primi piani, una parte degli uffici della questura di Napoli. A quanto si apprende il trentaduenne lavorava in una stanza accanto a quella dell’amministratore delegato, proprio al piano dal quale si è lanciato. Non è ancora chiaro cosa lo abbia spinto al gesto disperato. In questi giorni erano in visita a casa sua, a Napoli, i genitori che vivono a Venezia. L’uomo ha forse parlato al cellulare, fumato un’ultima sigaretta, e poi si è suicidato, morendo proprio davanti all’ingresso degli uffici della polizia. Inutile il tentativo disperato di rianimazione da parte di un medico, presente sul posto. I colleghi, sconvolti, lo hanno descritto come un uomo sereno. Sul fatto indaga la polizia
L’INFARTO - Un avvocato, di 34 anni, E.M. G., è morto per un infarto davanti al Palazzo di Giustizia a Napoli. L’uomo è caduto a terra alla presenza delle molte persone che affollavano la zona nei pressi del Tribunale. Per l’uomo non c’è stato nulla da fare. Sul posto è intervenuta la polizia.
Il silenzio di Dio
Roberto Saviano - Rassegna Stampa - Il coraggio dimenticato
-fonte-
• da La Repubblica –
Chi racconta che l´arrivo dei migranti sui barconi porta valanghe di criminali, chi racconta che incrementa violenza e degrado, sta dimenticando forse due episodi recentissimi ed estremamente significativi, che sono entrati nella storia della nostra Repubblica.
Le due più importanti rivolte spontanee contro le mafie, in Italia, non sono partite da italiani ma da africani.
In dieci anni è successo soltanto due volte che vi fossero, sull´onda dello sdegno e della fine della sopportazione, manifestazioni di piazza non organizzate da associazioni, sindacati, senza pullman e partiti. .
Manifestazioni spontanee.
E sono stati africani a farle.
A Castelvolturno, il 19 settembre 2008, dopo la strage a opera della camorra in cui vengono uccisi sei immigrati africani.
Le vittime sono tutte giovanissime, il più anziano tra loro ha poco più di trent´anni, sale la rabbia e scoppia una rivolta davanti al luogo del massacro.
La rivolta fa arrivare telecamere da ogni parte del mondo e le immagini che vengono trasmesse sono quelle di un intero popolo che ferma tutto per chiedere attenzione e giustizia.
Nei sei mesi precedenti, la camorra aveva ucciso un numero impressionante di innocenti italiani.
Ma nulla.
Nessuna protesta.
Nessuna rimostranza.
Nessun italiano scende in strada.
I pochi indignati, e tutti confinati sul piano locale, si sentono sempre più soli e senza forze.
Ma questa solitudine finalmente si rompe quando, la mattina del 19, centinaia e centinaia di donne e uomini africani occupano le strade e gridano in faccia agli italiani la loro indignazione.
Succedono incidenti. Il giorno dopo, gli africani, si faranno carico loro stessi di riparare ai danni provocati.
L´obiettivo era attirare attenzione e dire: “Non osate mai più″. Contro poche persone si può ogni tipo di violenza, ma contro un intera popolazione schierata, no.
E poi a Rosarno.
In provincia di Reggio Calabria, uno dei tanti paesini del Sud Italia a economia prevalentemente agricola che sembrano marchiati da un sottosviluppo cronico e le cui cosche, in questo caso le ´ndrine, fatturano cifre paragonabili al Pil del paese.
La cosca Pesce-Bellocco di Rosarno aveva deciso di riciclare il danaro della coca nell´edilizia in Belgio, a Bruxelles, dove per la presenza delle attività del Parlamento Europeo le case stavano vertiginosamente aumentando di prezzo.
L´egemonia sul territorio è totale, ma il 12 dicembre 2008, due lavoratori ivoriani vengono feriti, uno dei due è in gravissime condizioni.
La sera stessa, centinaia di stranieri – anche loro, come i ragazzi feriti, impiegati e sfruttati nei campi – si radunano per protestare. I politici intervengono, fanno promesse, ma da allora poco è cambiato. Inaspettatamente, però, il 14 di dicembre, ovvero a due soli giorni dall´aggressione, il colpevole viene arrestato e il movente risulta essere violenza a scopo estorsivo nei riguardi della comunità degli africani.
La popolazione in piazza a Rosarno, contro la presenza della ´ndrangheta che domina come per diritto naturale, non era mai accaduto negli anni precedenti.
Eppure, proprio in quel paese, una parte della società, storicamente, aveva sempre avuto il coraggio di resistere.
Ne fu esempio Peppe Valarioti, che in piazza disse: «Non ci piegheremo», riferendosi al caso in cui avesse vinto le elezioni comunali.
E quando accadde fu ucciso.
Dopo di allora il silenzio è calato nelle strade calabresi. Nessuno si ribella. Solo gli africani lo fanno. E facendolo difendono la cittadinanza per tutti i calabresi, per tutti gli italiani.
Per il pubblico internazionale risulta davvero difficile spiegarsi questo generale senso di criminalizzazione verso i migranti. Fatto poi da un paese, l´Italia, che ha esportato mafia in ogni angolo della terra.
Che hanno fatto sviluppare il commercio della coca in Sudamerica con i loro investimenti, che hanno messo a punto, con le cinque famiglie mafiose italiane newyorkesi, una sorta di educazione mafiosa all´estero.
Oggi, come le indagini dell´Fbi e della Dea dimostrano, chiunque voglia fare attività economico-criminali a New York che siano kosovari o giamaicani, georgiani o indiani devono necessariamente mediare con le famiglie italiane, che hanno perso prestigio ma non rispetto.
Le mafie straniere in Italia ci sono e sono fortissime ma sono alleate di quelle italiane. Non esiste loro potere senza il consenso e la speculazione dei gruppi italiani. Basta leggere le inchieste per capire come arrivano i boss stranieri in Italia. Arrivano in aereo da Lagos o da Leopoli. Dalla Nigeria, dall´Ucraina dalla Bielorussia.
Le inchieste più importanti come quella denominata Linus e fatta dai pm Giovanni Conzo e Paolo Itri della Procura di Napoli sulla mafia nigeriana dimostrano che i narcos nigeriani non arrivano sui barconi ma per aereo.
Persino i disperati che per pagarsi un viaggio e avere liquidità appena atterrano trasportano in pancia ovuli di coca.
Anche loro non arrivano sui barconi. Mai.
Quando si generalizza, si fa il favore delle mafie.
Loro vivono di questa generalizzazione.
Vogliono essere gli unici partner. Se tutti gli immigrati diventano criminali, le bande criminali riusciranno a sentirsi come i loro rappresentanti e non ci sarà documento o arrivo che non sia gestito da loro.
La mafia ucraina monopolizza il mercato delle badanti e degli operai edili, i nigeriani della prostituzione e della distribuzione della coca, i bulgari dell´eroina, i furti di auto di romeni e moldavi. Ma questi sono una parte minuscola delle loro comunità e sono allevate dalla criminalità italiana.
Avere un atteggiamento di chiusura e criminalizzazione aiuta le organizzazioni mafiose perché si costringe ogni migrante a relazionarsi alle mafie se da loro soltanto dipendono i documenti, le abitazioni, persino gli annunci sui giornali e l´assistenza legale.
E non si tratta di interpretare il ruolo delle “anime belle”, come direbbe qualcuno, ma di analizzare come le mafie italiane sfruttino ogni debolezza delle comunità migranti.
Meno queste vengono protette dallo Stato, più divengono a loro disposizione. Il paese in cui è bello riconoscersi – insegna Altiero Spinelli padre del pensiero europeo – è quello fatto di comportamenti non di monumenti. Io so che quella parte d´Italia che si è in questi anni comportata capendo e accogliendo, è quella parte che vede nei migranti nuove speranze e nuove forze per cambiare ciò che qui non siamo riusciti a mutare.
L´Italia in cui è bello riconoscersi e che porta in sé la memoria delle persecuzioni dei propri migranti e non permetterà che questo riaccada sulla propria terra.
Sicurezza, ultima illusione
Un maledetto irrisolvibile problema idraulico. È triste dirlo, ma al 90% il problema della sicurezza non è un problema politico, ma un problema di flussi e di stock, di capienze e di velocità. Per capire come mai, bisogna mettere da parte il 10% politico del problema, su cui ovviamente ognuno ha le sue preferenze e le sue sensibilità (a me, ad esempio, non piacciono le ronde). E occorre munirsi di santa pazienza e ripassare qualche numero, senza pretese di precisione ma giusto per farci un’idea degli ordini di grandezza.
Le persone denunciate in Italia sono oltre 500 mila all’anno, ossia circa 1 cittadino su 100. Un quarto circa, quasi interamente costituito da persone con precedenti penali, viene condannato da un giudice a una pena detentiva. Ma le probabilità di scontare la pena in carcere sono minime, per un complesso di ragioni istituzionali ben spiegato dal procuratore Bruno Tinti in un suo fortunato libro (Toghe rotte, Chiarelettere). La ragione più importante, però, è di natura materiale: non ci sono abbastanza posti nelle carceri. A meno di tre anni dall’indulto (estate 2006), i detenuti sono già 20 mila più di quanti le carceri potrebbero contenerne: 62 mila persone per 43 mila posti.
Equasi 2 posti su 3 non sono occupati da persone condannate, ma da imputati in attesa di giudizio o sottoposti a misure cautelari. La conseguenza è che i pochi detenuti che effettivamente scontano una pena liberano pochissimi posti all’anno, proprio perché la loro pena è lunga (chi ha una pena breve di norma non la sconta in carcere). In poche parole: le condanne a pene detentive sono più di 100 mila all’anno, ma i posti che si liberano effettivamente sono poche migliaia.
Si potrebbe pensare che, almeno per quanto riguarda gli immigrati, una soluzione potrebbero essere i centri di permanenza temporanea (Cpt), ora ridenominati Cie (Centri di identificazione ed espulsione). A parte il fatto che un Cie non è un luogo deputato a scontare una pena, è di nuovo l’idraulica a lasciare senza speranze: con meno di 2000 posti disponibili, le persone che possono transitare nei Cie sono meno di 10 mila all’anno, e diminuiranno drasticamente con l’allungamento dei tempi massimi di permanenza da 2 a 6 mesi deciso in questi giorni. È strano che il ministro Maroni, che pure da molto tempo sta progettando di allungare i tempi di permanenza nei Cie per rendere possibili le operazioni di identificazione ed espulsione, non abbia provveduto - prima - ad almeno triplicare la loro capienza. Lì per lì non ci si pensa, ma la regola idraulica è implacabile: se il tempo di permanenza in una struttura aumenta di N volte, la sua capacità annua di accoglienza si riduce nella stessa proporzione. Se prima potevi ricevere 300 nuove persone al mese tenendole 2 mesi ciascuna, adesso puoi immetterne solo 100 al mese, perché ciascuna di esse si fermerà il triplo del tempo, ossia 6 mesi anziché 2. Insomma le stanze restano 300, ma più a lungo le si occupa meno nuove persone potranno transitarvi in un dato intervallo di tempo: se vuoi che il transito resti costante, allora devi triplicare la capienza della struttura. L’aritmetica dei flussi non lascia scampo.
Si potrebbe pensare che, comunque, un passo avanti sia stato fatto con l’accordo con la Libia, grazie al quale gli sbarchi in Italia dovrebbero diminuire drasticamente. Questo è vero, ma ancora una volta sono gli ordini di grandezza che fanno riflettere. Gli immigrati, specie se clandestini, sono indubbiamente più pericolosi degli italiani, ma occupano solo 1/3 dei posti in carcere, e soprattutto non vengono dal mare: gli ingressi con i barconi sono circa 1/7 del totale degli ingressi (o permanenze) irregolari. Il «respingimento in mare» degli stranieri è senz’altro utile, ma è solo una piccola frazione del problema della criminalità in Italia, diciamo un 5 per cento.
Ricordo queste cifre non certo per svalutare l’azione del governo, o per minimizzare il ruolo della criminalità straniera in Italia. Contrastare gli sbarchi illegali e rendere possibili le identificazioni sono provvedimenti ragionevoli, anche per il loro potere deterrente, e secondo me Maroni ha fatto bene a tenere duro su entrambi. Quello di cui dovremmo renderci conto, tuttavia, è che alla lotta contro il crimine mancano ancora i due tasselli fondamentali: una giustizia molto più efficiente, un piano di edilizia carceraria ben più incisivo di quello prospettato dal governo alcuni mesi fa (13 mila posti entro il 2012). Un calcolo prudente suggerisce che tra ristrutturazioni delle carceri esistenti (spesso indegne di un Paese civile) e costruzione di nuove carceri occorra prevedere almeno 50 mila posti aggiuntivi, con un costo che è dell’ordine di 5 miliardi di euro. Finché ciò non avverrà - ed è difficile pensare che, anche con la migliore volontà politica, occorrano meno di una decina d’anni - nessun inasprimento di pena, nessun nuovo reato, nessun giro di vite potrà produrre risultati apprezzabili. Meno che mai possiamo aspettarci miracoli dall’introduzione del reato di immigrazione clandestina, giusto ieri sancita dal voto della Camera. Anzi, il rischio è che proprio i continui annunci di misure drastiche ma materialmente inattuabili rendano ancora meno credibili le nostre istituzioni.
Ma di tutto questo ci renderemo conto, probabilmente, solo fra qualche anno. Solo allora, quando avremo assistito a un’ennesima rivolta nelle carceri, quando saremo stati costretti a varare l’ennesimo indulto o amnistia, quando avremo constatato che l’idraulica del circuito della sicurezza non permette a nessun governo, di qualsivoglia colore politico, di ottenere risultati tangibili in pochi anni, solo allora questa stagione ci apparirà in tutta la sua paradossalità. Perché quello di questi giorni, il «respingimento» dei barconi e l’approvazione del disegno di legge sulla sicurezza, è probabilmente il massimo successo mediatico del governo Berlusconi, ma potrebbe rivelarsi anche, alla lunga, la più grande illusione (l’ultima?) che il Cavaliere ha consegnato agli italiani.
• da La Stampa del 15 maggio 2009, pag. 1
di Luca Ricolfi
NAPOLI ANNO ZERO COMINCIA : Fede e politica: riflessioni dal cuore di una notte ricca di stelle…di Antonio E. Piedimonte
Filed under: napoli anno zero, prersentazione del libro "napoli anno zero"
Pensieri e ricordi dal buio che avvolge la Napoli dell’anno zero, nel bel mezzo della conflagrazione finale. Conversazione tra un giornalista e un intellettuale cristiano sulle vicende degli ultimi quindici anni all’ombra del Vesuvio (ma non solo), dalla rottura dell’unità politica dei cattolici al medioevo bassoliniano, senza dimenticare le radici degli anni Cinquanta e Sessanta ma anche le macerie lasciate dalle sei giunte guidate dal senatore comunista Maurizio Valenzi.
Un’intervista-dialogo tra Corrado Castiglione, cronista del Mattino, e Lucio Pirillo, ex presidente delle Acli e assessore comunale nel 1993-94, che è stata raccolta, insieme ad alcuni importanti contributi esterni e alla prefazione di Leoluca Orlando, nel volume Napoli anno zero (edizioni Intra Moenia), appena giunto in libreria.
Duecento pagine che aprono una preziosa finestra sul mondo cattolico, quello delle associazioni e del volontariato, ma anche sul ruolo della Chiesa partenopea.
Il curatore - che giornalisticamente nasce nel settimanale diocesano Nuova Stagione - confessa di amare Michel Houellebecq, e dunque quella singolare posizione, peraltro molto partenopea, sospesa tra il disincanto e la disperata necessità di sperare contro ogni speranza. Per questo cita un verso dellautore che è a sua volta una citazione (san Paolo):
La notte è inoltrata e il giorno si avvicina. Spogliamoci dunque dell’opera delle tenebre e indossiamo le armi della luce.
Una metafora, quella del buio, già usata dal cardinale Sepe qualche anno fa: E notte nello scenario della città (Napoli, ndr), le tenebre non lasciano comprendere
Né è dato calcolare quando giungerà l’aurora liberatrice.
E così, passando con agilità dal profeta Isaia (A che punto è la notte?) ed Eduardo De Filippo (Adda passà a nuttata ), la domanda è sulle stelle che brillano ancora, ovvero sulla speranza. Pirillo, da buon cattolico vede segni di speranza e tuttavia non ha timore di parlare delle origini del buio:
Penso che il ceto politico campano debba confessarsi in senso agostiniano: cioè riconoscere le responsabilità della sua storia di governo, alla quali risale in gran parte il mancato sviluppo culturale e civile del territorio.
Cè un filo spiega che lega destra e sinistra, il notabilato tradizionale e progessista di Gava e Valenzi fino al recente compromesso di sistema costruito da Bassolino e Iervolino.
Alcuni all’interno dello stesso Pd hanno parlato di dittatura rossa. Ed ancora: A Napoli e in Campania, come diceva in un altro secolo Antonio Gramsci, dobbiamo ancora uscire dalla prigione delle ideologie.
L’impressione è che Pirillo - da alcuni anni presidente provinciale dellUneba (unione delle istituzioni di assitenza sociale) voglia dar voce al diffuso e radicato malcontento del mondo cattolico verso le amministrazioni locali.
Di certo l’intellettuale non risparmia bordate contro la sindaca, anche se, va sottolineato, non si non si tratta di spari contro la croce rossa ma di legittimi e opportuni appunti, sempre precisi e circostanziati.
Così, dopo l’elezione della Iervolino i cattolici partecipano a questa rinuncia al contraddittorio e prosegue il pensiero unico; senza che nessuno dei tanti problemi venga avviato a soluzione:
dal dilagare delle piccole grandi illegalità al mancato sviluppo delle aree ex industriali dismesse da Bagnoli a Napoli Est.
Mentre cresce il silenzio della Chiesa (tranne rare eccezioni come la lettera dei parroci di Secondigliano) e, soprattutto, mentre intorno gli imprenditori e la cosiddetta società civile (dai liberi professionisti ai docenti universitari) cercano di non disturbare il manovratore.
Anche perché cresce un altro fenomeno, che diventa palpabile con la rosa di consulenze, contributi e prebende varie.
Il libro, dopo una sezione fotografica (che appare eccessiva), offre poi alcuni importanti contributi, come la lettera sulla miseria del cardinale Corrado Ursi, i ricordi di padre Vincenzo Perna e
Marta Losito (la docente morta l’anno scorso), le testimonianze di Ludmila Mandlova (sulla Primavera di Praga) e Mario Cercola (sulle Quattro giornate), il documento anticamorra dei vescovi campani nel 1982, le parole di Giovanni Paolo II a Napoli, l’omelia del cardinale Sepe al suo ingresso in diocesi, l’omelia di Benedetto XVI in piazza Plebiscito.
E, soprattutto, quattro articoli firmati da Luigi Maria Pignatelli (giornalista, teologo, missionario), uno dei quali, quello scritto dopo la strage di Torre Annunziata, si chiudeva così:
I camorristi di Stato hanno difeso con i denti le posizioni acquisite. Torre Annunziata è il frutto, uno dei tanti frutti nefasti, della camorra pubblica.
Era il 6 settembre 1984.
L’anno zero a volte sembra davvero non finire mai.
Antonio E. Piedimonte
fonte
il corriere del mezzogiorno
OGGI ALLA FELTRINELLI ore 18 : NAPOLI ANNO ZERO
Filed under: napoli anno zero, prersentazione del libro "napoli anno zero"
Conversazione metropolitana con L. Pirillo, Napoli anno zero.
Cattolici e politica dal ’68 ai giorni della spazzatura, a cura di
C. Castiglione, Intra Moenia, Napoli 2009, pp. 212, euro 12.00
La conversazione, a cura del giornalista C. Castiglione, lungo il tragitto della metropolitana di Napoli da Piazza Dante a Scampia per uscire alla luce del sole dal tunnel metaforicamente attraversato, è un contributo alla storia di Napoli sotto il profilo del rapporto tra cattolici e politica in questa città secondo l’esperienza di L. Pirillo un cattolico eletto per la prima volta al Consiglio Comunale in una formazione politica che non fosse la DC, cioè la Rete, ed assessore nel periodo 1993-1994.
E successivamente impegnato in incarichi rappresentativi nelle ACLI, nel sindacato e nell’UNEBA (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale).
La lunga intervista tra le stazioni della nuova linea della metropolitana napoletana, nota con il nome di metrò dell’arte per le numerose opere di artisti contemporanei che ne adornano i corridoi, attraversa gli ultimi sedici anni di storia politica a Napoli ed in Campania, dalla rottura dell’unità politica dei cattolici nel ’93, alla ricostruzione della memoria storica, che affonda le radici negli anni Sessanta e più indietro ancora nel secondo lustro degli anni Cinquanta,
con una minuta evocazione di chi c’era, dove stava e con chi.
Nell’intento di una ridefinizione della “questione cattolica” a Napoli ma non solo ieri, oggi e per domani. Il punto di partenza è la breve partecipazione di Pirillo alla prima giunta Bassolino, sindaco che aveva destato grandi speranze di progresso e modernizzazione con lo sbandierato ”Rinascimento”, e quindi il cammino si snoda di fronte alle emergenze nuove e quelle croniche del territorio, tra rinascimento e medioevo, tra politiche di welfare e sviluppo sostenibile, tra questione morale, società civile e classe dirigente.
Fino all’esaurirsi della spinta propulsiva di quella stagione per fattori storico-politici che sono individuati nel tragittto della ricostruzione ed ai giorni bui della spazzatura che invadeva strade e piazze della città.
Quindi un cammino per trovare il bandolo della matassa, un complesso di ragioni che lascino intravedere il sole dopo il buio iniziale della stazione di Dante, quando sulla strada per Scampia la vettura uscirà allo scoperto sul viadotto che da Colli Aminei conduce a Piscinola-Secondigliano.
La conversazione è divisa in cinque parti, chiamate frammenti.
Ciascun frammento si apre con una nota introduttiva del curatore e si chiude con un promemoria che si propone in maniera cronologica di indicare le linee essenziali del rapporto fra cattolici e politica a Napoli in particolare negli ultimi sedici anni con richiami agli ultimi cinquant’anni.
Un’appendice raccoglie prevalentemente documenti ecclesiali significativi del periodo analizzato, che insieme al corpo del volume costituisce materiale prezioso per approfondimenti della storia del rapporto tra cattolici e politica a partire anche da esperienze personali
Un viaggio nella memoria ed a futura memoria specialmente per le giovani generazioni, che è più di un’ autobiografia per la documentazione accurata ed oggettivazione dei fatti evocati nell’ intreccio di intervista e cronologia dei vari periodi attraversati della storia politica e religiosa della città di Napoli.
Rimane una testimonianza dell’impegno laicale in politica che non viene meno ma deve trovare nuove strade nell’agone politico in considerazione del cambiamento degli scenari politici e dell’urgenza di un ricominciamento nella situazione napoletana per vedere la luce del sole.
Domenico Pizzuti s.j.