Opera don Guanella rischia la chiusura:Manca 1 milione, le istituzioni assenti

Maggio 4, 2009 by admin · Comment
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Il caso Il centro non avvierà le colonie estive per bambini

la situazione non riguarda so­lo il centro don Guanella.
L’Uneba conta solo a Napoli circa 60 centri, che complessi­vamente assistono 3 mila bambini. L’indebitamento complessivo è di circa 20 mi­lioni di euro.

L’allarme di Don Aniello Manga­niello che assiste 280 minori a rischio con piatti caldi, giochi e doposcuola

  

NAPOLI — All’Opera don Guanella di Scampia, dove il presidente della Camera Gian­franco Fini si recò in visita il 28 novembre scorso per inau­gurare un campetto di calcio, non arriva un euro dal settem­bre del 2007. Ora il centro di­retto da don Aniello Manga­niello, che assiste 280 minori a rischio fornendo loro un piatto caldo, un posto dove giocare, un doposcuola, labo­ratori di teatro, musica e in­formatica, ha accumulato un milione e 200 mila euro di de­biti. Gli interessi maturati nei confronti delle banche sono enormi, e anche i padri supe­riori non hanno più un cente­simo da prestare. Perché fino­ra, è bene dirlo, i superiori hanno prestato i soldi di ta­sca propria sperando poi di riaverli.

«Non andremo mol­to in là — commenta rasse­gnato don Aniello — Il Comu­ne non ci paga le rette, e non sappiamo più come garantire il servizio di refezione ai no­stri ragazzi, pagare i quindici educatori che li seguono, i pulmini che li vanno a pren­dere a scuola e li portano qui. Continueremo a sostenere le spese fin quando gli ultimi prestiti ottenuti ci consenti­ranno di farlo, dopodiché non ci resterà che chiudere». Tempo di autonomia, «fino a giugno, quando chiuderà l’an­no scolastico».

Dopodiché i minori, per forza di cose, ver­ranno lasciati a se stessi. Ma la situazione non riguarda so­lo il centro don Guanella, co­me assicura il contabile della struttura di Scampia, don Francesco, che fa parte del consiglio direttivo dell’Uneba (sigla che raggruppa associa­zioni cristiane di assistenza sociale) con la quale il centro di don Aniello è consorziato: «L’Uneba conta solo a Napoli circa 60 centri, che complessi­vamente assistono 3 mila bambini. L’indebitamento complessivo è di circa 20 mi­lioni di euro. Noi al don Gua­nella ci siamo esposti con le banche, abbiamo chiesto sol­di ai padri superiori, ora non sappiamo più come regolar­ci. Quel che è certo è che in questa situazione non possia­mo pensare di avviare le atti­vità estive: i bambini non an­dranno al mare, non ci sarà al­cuna colonia né soggiorni montani. Terminata la scuo­la, i primi di giugno questi mi­nori resteranno per strada». La spesa mensile del don Guanella si aggira sui 100 mi­la euro, calcolando anche le utenze di acqua, luce e gas, ol­tre ai servizi di assistenza so­ciale.

L’anno scorso il centro è stato l’unico a garantire ai minori un’esperienza estiva residenziale. Dieci giorni in Puglia, al mare, lontano dalla strada, insieme con gli amici e con gli educatori. «Ciò che più ci sorprende — prosegue don Francesco — è questo silenzio assoluto da parte delle istituzioni di fronte a una situazione che è davvero gravissima». Tanto grave che, aggiunge don Aniello Manganiello, «alcune piccole congregazioni di suo­re, non potendo proseguire nelle attività di assitenza so­no già state costrette a inter­romperle ».

Stefano Piedimonte
fonte

corriere del mezzogiorno

1° maggio: Festa dei Lavoratori tra precariato e lavoro nero

Maggio 1, 2009 by admin · Comment
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Il 1°  Maggio nasce come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori, per affermare i propri diritti e per migliorare la propria condizione.Oggi parlarne ha un senso non solo per conservarne la memoria storica, ma per il contenuto, il significato che essa rappresenta in termini di coscienza di classe e di lotta degli sfruttati per riconquistare diritti e dignità rubati.
Oggi si parla sempre di lavoro precario, spesso dimenticando un’altra grande piaga di questo paese: il lavoro in nero. La mafia si mantiene e si sostiene anche attraverso lo sfruttamento di moltissimi lavoratori.
Delle migliaia di persone occupate in Sicilia, solo una piccolissima percentuale avrebbe un contratto di lavoro a tempo indeterminato. E anno dopo anno cresce esponenzialmente la nuova schiavitù, che vede vittime inconsapevoli tutti quegli immigrati, sfruttati per pochi euro e senza alcuna garanzia, gli operai che lavorano nei cantieri senza alcuna sicurezza, ragazzi condannati ad un precariato eterno.
Ma il primo maggio per noi siciliani è anche Portella delle Ginestra, dove quest’anno si ricorda il 62° anniversario dell’eccidio ordinato dalla mafia di in Sicilia. L’attentato costò la vita a undici braccianti convenuti in quel luogo simbolo della lotta dell’occupazione delle terre per festeggiare la festa del lavoro e il riscatto della dignità di chi lavora.
Sulla scia di Portella della Ginestra, assume una valenza particolare parlare di lavoro nero e precario, in quanto è evidente il filo rosso che lega questi nuovi schiavi che oggi si ribellano alla destrutturazione del mercato del lavoro, con le lotte dei contadini che proprio a Portella si ribellavano al potere costituito di mafiosi ed agrari che li costringevano ad una esistenza precaria e sfruttata, così come oggi il caporalato di allora viene ripreso e legalizzato con l’apertura delle agenzie interinali.
Ecco perché il primo maggio diventa un giorno importante per tutti i lavoratori, per ricordare sempre a chi ci governa che il lavoro nobilita l’uomo, è fonte della sua libertà e della sua autonomia. Per pretendere condizioni di lavoro più umane, più civili, più rispettose dei bisogni e della dignità di tutti. Per immaginare un’Italia migliore.

Il Primo maggio: storia e significato di una ricorrenza

Maggio 1, 2009 by admin · Comment
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Per non dimenticare
Origini del Primo maggio�
Tra Ottocento e Novecento�
Il Ventennio fascista�
Dal dopoguerra a oggi�

Origini del Primo maggio 
Il 1° maggio nasce il 20 luglio 1889, a Parigi. A lanciare l’idea è il congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni nella capitale francese :�
“Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi”.�
Poi, quando si passa a decidere sulla data, la scelta cade sul 1 maggio. Una scelta simbolica: tre anni prima infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue. Man mano che ci si avvicina al 1 maggio 1890 le organizzazioni dei lavoratori intensificano l’opera di sensibilizzazione sul significato di quell’appuntamento. “Lavoratori - si legge in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 - ricordatevi il 1 maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l’Internazionale!”.�
Monta intanto un clima di tensione, alimentato da voci allarmistiche: la stampa conservatrice interpreta le paure della borghesia, consiglia a tutti di starsene tappati in casa, di fare provviste, perché non si sa quali gravi sconvolgimenti potranno accadere. 

Da parte loro i governi, più o meno liberali o autoritari, allertano gli apparati repressivi.
In Italia il governo di Francesco Crispi usa la mano pesante, attuando drastiche misure di prevenzione e vietando qualsiasi manifestazione pubblica sia per la giornata del 1 maggio che per la domenica successiva, 4 maggio. 

In diverse località, per incoraggiare la partecipazione del maggior numero di lavoratori, si è infatti deciso di far slittare la manifestazione alla giornata festiva. 

Del resto si tratta di una scommessa dall’esito quanto mai incerto: la mancanza di un unico centro coordinatore a livello nazionale - il Partito socialista e la Confederazione generale del lavoro sono di là da venire - rappresenta un grave handicap dal punto di vista organizzativo. Non si sa poi in che misura i lavoratori saranno disposti a scendere in piazza per rivendicare un obiettivo, quello delle otto ore, considerato prematuro da gran parte dei dirigenti del movimento operaio italiano o per testimoniare semplicemente una solidarietà internazionale di classe. 

Proprio per questo la riuscita del 1 maggio 1890 costituisce una felice sorpresa, un salto di qualità del movimento dei lavoratori,che per la prima volta dà vita ad una mobilitazione su scala nazionale, per di più collegata ad un’iniziativa di carattere internazionale. 

In numerosi centri, grandi e piccoli, si svolgono manifestazioni, che fanno registrare quasi ovunque una vasta partecipazione di lavoratori. Un episodio significativo accade a Voghera, dove gli operai, costretti a recarsi al lavoro, ci vanno vestiti a festa.�
“La manifestazione del 1 maggio - commenta a caldo Antonio Labriola - ha in ogni caso superato di molto tutte le speranze riposte in essa da socialisti e da operai progrediti. Ancora pochi giorni innanzi, la opinione di molti socialisti, che operano con la parola e con lo scritto, era alquanto pessimista”.�
Anche negli altri paesi il 1 maggio ha un’ottima riuscita:�
“Il proletariato d’Europa e d’America - afferma compiaciuto Fiedrich Engels - passa in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito. E lo spettacolo di questa giornata aprirà gli occhi ai capitalisti”.�
Visto il successo di quella che avrebbe dovuto essere una rappresentazione unica, viene deciso di replicarla per l’anno successivo.�
Il 1 maggio 1891 conferma la straordinaria presa di quell’appuntamento e induce la Seconda Internazionale a rendere permanente quella che, da lì in avanti, dovrà essere la “festa dei lavoratori di tutti i paesi”.

 

 

Tra Ottocento e Novecento
Inizia così la tradizione del 1 maggio, un appuntamento al quale il movimento dei lavoratori si prepara con sempre minore improvvisazione e maggiore consapevolezza. L’obiettivo originario delle otto ore viene messo da parte e lascia il posto ad altre rivendicazioni politiche e sociali considerate più impellenti. La protesta per le condizioni di miseria delle masse lavoratrici anima le manifestazioni di fine Ottocento. Il 1 maggio 1898 coincide con la fase più acuta dei “moti per il pane”, che investono tutta Italia e hanno il loro tragico epilogo a Milano. Nei primi anni del Novecento il 1 maggio si caratterizza anche per la rivendicazione del suffraggio universale e poi per la protesta contro l’impresa libica e contro la partecipazione dell’Italia alla guerra mondiale.Si discute intanto sul significato di questa ricorrenza: giorno di festa, di svago e di divertimento oppure di mobilitazione e di lotta ? 

Un binomio, questo di festa e lotta, che accompagna la celebrazione del 1 maggio nella sua evoluzione più che secolare, dividendo i fautori dell’una e dell’altra caratterizzazione.

Qualcuno ha inteso conciliare gli opposti, definendola una “festa ribelle”, ma nei fatti il 1 maggio è l’una e l’altra cosa insieme, a seconda delle circostanze più lotta o più festa. 

Il 1 maggio 1919 i metallurgici e altre categorie di lavoratori possono festeggiare il conseguimento dell’obiettivo originario della ricorrenza: le otto ore.�

 

 

Il ventennio fascista
Nel volgere di due anni però la situazione muta radicalmente: Mussolini arriva al potere e proibisce la celebrazione del 1 maggio. Durante il fascismo la festa del lavoro viene spostata al 21 aprile, giorno del cosiddetto Natale di Roma; così snaturata, essa non dice più niente ai lavoratori, mentre il 1 maggio assume una connotazione quanto mai “sovversiva”, divenendo occasione per esprimere in forme diverse - dal garofano rosso all’occhiello alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alle bevute in osteria - l’opposizione al regime. 

 

Dal dopoguerra a oggi
All’indomani della Liberazione, il 1 maggio 1945, partigiani e lavoratori, anziani militanti e giovani che non hanno memoria della festa del lavoro, si ritrovano insieme nelle piazze d’Italia in un clima di entusiasmo. Appena due anni dopo il 1 maggio è segnato dalla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini del bandito Giuliano fanno fuoco contro i lavoratori che assistono al comizio. Nel 1948 le piazze diventano lo scenario della profonda spaccatura che, di lì a poco, porterà alla scissione sindacale. Bisognerà attendere il 1970 per vedere di nuovo i lavoratori di ogni tendenza politica celebrare uniti la loro festa.

Le trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini ed anche il fatto che al movimento dei lavoratori si offrono altre occasioni per far sentire la propria presenza, hanno portato al progressivo abbandono delle tradizionali forme di celebrazione del 1 maggio. 

Oggi un’unica grande manifestazione unitaria esaurisce il momento politico, mentre il concerto rock che da qualche anno Cgil, Cisl e Uil organizzano per i giovani sembra aderire perfettamente allo spirito del 1 maggio, come lo aveva colto nel lontano 1903 Ettore Ciccotti:�
“Un giorno di riposo diventa naturalmente un giorno di festa, l’interruzione volontaria del lavoro cerca la sua corrispondenza in una festa de’sensi; e un’accolta di gente, chiamata ad acquistare la coscienza delle proprie forze, a gioire delle prospettive dell’avvenire, naturalmente è portata a quell’esuberanza di sentimento e a quel bisogno di gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa”.

 

fonte: Cgil di Roma e del Lazio - Archivio Storico  “Manuela Mezzelani”

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