Protesta in piazza: Semiconvitti e 70 case-famiglia a rischio chiusura.
Napoli, il terzo settore: dateci i fondi promessi
Rassegna Stampa “AVVENIRE”
DA NAPOLI VALERIA CHIANESE
Le promesse si devono rispettare, di più se annunciate da pubbliche istituzioni, se riguardano bambini e anziani e se gli effetti benefici di fatti che seguono le parole ricadono sui più deboli. Non è semplice cortesia o pietosa accondiscendenza, è giustizia. E a Napoli questa giustizia sembra addormentata se non scomparsa. La denuncia è dell’Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale che da tempo chiede al Comune di mantenere le promesse. Lo reclamano le 70 case famiglia e i semiconvitti cattolici riuniti nell’Uneba: sono loro la voce dei tremila bambini che assistono. E ieri mattina lo hanno gridato in piazza municipio davanti Palazzo San Giacomo, sede della giunta, bambini, mamme, educatori, suore e sacerdoti. Tra palloncini, striscioni e cappellini colorati.
La promessa disattesa è proprio quella del Comune che aveva assicurato di versare almeno una parte di quanto dovuto per l’assistenza e le attività degli enti che dal settembre del 2007 non ricevono il pagamento delle rette e nonostante ciò non hanno serrato le porte, non hanno spento le cucine delle mense, non hanno riposto negli scatoloni e sugli scaffali giochi e giocattoli. Non hanno rinunciato alla speranza, non hanno accantonato fantasia e gioia, non si sono rassegnati. Hanno aperto i salvadanai, hanno bussato altrove e aspettato tempi migliori, confidando nella giustizia. Il tempo della raccolta non è giunto e sono scesi in strada.
«Fino a oggi siamo andati avanti con i prestiti delle banche, ma se presto gli assegni non saranno firmati, saremo costretti a chiudere» dice don Aniello Manganiello dell’Opera Don Guanella che nell’omonimo rione di periferia, confinante con Scampia, accoglie 280 ragazzi e sono tutti a rischio. I soldi non ci sono, è la triste e amara realtà, né nella casse del Comune né tanto meno in quelle delle case famiglia. Queste si trovano tutte nella stessa situazione e la possibile chiusura non è una minaccia e nemmeno un’ipotesi lontana, è la realtà possibile. Ma la chiusura significa lasciare senza sostegno e assistenza, regalandoli nuovamente alla strada, bambini che vivono realtà difficili, emarginate e complesse. Ieri in trecento sono stati sotto il sole ad aspettare che il presidente dell’Uneba, Lucio Pirillo, fosse ricevuto dall’assessore agli Affari sociali, Giulio Riccio.
Hanno avuto il coraggio, le suore e i sacerdoti con i bambini, di bloccare il transito delle auto per piazza Municipio. Solo quindici minuti, poi sono ritornati ai canti e ai girotondi sotto i balconi del Palazzo. Di fronte alla protesta e alle richieste l’assessore è convinto che «la questione dei fondi ai convitti e ai semiconvitti che accolgono minori a rischio non è un problema di stanziamento, ma di tempi del pagamento» sostenendo che le amministrazioni tutte e non solo Napoli sono strette nella morsa di un decreto ministeriale dell’83. «In base a quel provvedimento - ha precisato Riccio - le spese sociali non sono considerate indispensabili e quindi i pagamenti dei fondi già stanziati hanno tempi lunghissimi». La soluzione sarebbe modificare il decreto che penalizza il settore dell’assistenza sociale. «È una battaglia - ha ribadito l’assessore - che noi abbiamo portato avanti sia con il governo di centrosinistra che con quello di centrodestra. L’infanzia e il sociale sono da sempre le priorità di quest’amministrazione. Trovo però inutile protestare con il Comune senza chiamare in causa chi veramente può risolvere il problema, cioè il governo. Soprattutto ritengo scandaloso il fatto che nessuna voce si sia alzata contro il taglio del 10% alle risorse per l’infanzia annunciato già mercoledì». Ma don Manganiello replica: «Il Comune è disattento ai problemi dei ragazzi a rischio e lascia al volontariato il peso dell’educazione e dell’assistenza».
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