Wild Strawberries Final

Settembre 10, 2009 by admin · Comment
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Pdl, Regione mai così vicina

Settembre 8, 2009 by admin · Comment
Filed under: Politica 
Rassegna Stampa - martedì, settembre 8, 2009
(di Corvo Rosso da il Roma)
A Telese Ciriaco De Mita conferma l’alleanza con il Pdl alle prossime regionali. Pur restando sulle sue il leader irpino non smentisce l’accordo che fonti autorevoli del Pdl danno per già siglato ed anche se frena sulla crociata antibassolino proposta da Nicola Cosentino, non risponde agli inviti, francamente tardivi e strumentali, del governatore e del pollaio pdiino.
Naturalmente si riserva uno spazio di manovra (”prima il programma poi gli uomini”) ma trattasi di mera prudenza negoziale. Tutto questo è emerso alla Festa dell’Udeur promossa dal sempreverde Clemente Mastella che con il successo personale alle Europee si è confermato un protagonista. Ad avanzare l’unica proposta che poteva riaprire i giochi è stato sempre Clemente Mastella chiedendo a De Mita la sua disponibilità a candidarsi alla presidenza della Regione sulla falsariga degli inviti rivolti dal Pd a Nicola Mancino. Inviti in entrambe i casi respinti o, meglio, non presi in considerazione.
Naturalmente se c’è l’Udc la partita regionale si orienta nettamente a favore del centrodestra e se non saranno commessi errori dal Pdl, il cambio della guardia a Santa Lucia sembra scontato. Anche perché le cose nel Pd restano complesse, legate a fattori incerti come il congresso e le inevitabili primarie per la scelta del candidato. Passaggi impervi destinati ad acuire, almeno a livello locale, scontri e divisioni interni con inevitabili dispersioni elettorali. Se passa De Luca, difficile che Bassolino si impegni più di tanto come già avvenuto per Nicolais, e più o meno la stessa cosa a ruoli invertiti accadrebbe con Cascetta candidato del governatore.
Il quale, in vista di tempi difficili, blinda la sua corrente con assessori e nomine di ultra fedelissimi. A meno che anche nel centrodestra si accentuino le incrinature, a partire dalla scelta del candidato alla presidenza. Ed in effetti la mancanza di regole ed una certa improduttiva anarchia che regna nel Pdl lascia in vita questa ipotesi. Ci penserà come sempre Berlusconi, ma questa volta potrebbe incontrare qualche ostacolo in più. Vedremo. Certo, il centro destra parte favorito. Ma non sempre questo è sufficiente a vincere.
Piedigrotta? Ha avuto ragione Marco Di Lello a rianimarla perché dopo una prima edizione di rodaggio la festa, quest’anno, ha ripreso quota. Piedigrotta con fuochi d’artificio doveva essere e Piedigrotta con fuochi d’artificio è stata. Lo sforzo di Scalabrini & co. di portare Napoli a livelli internazionali è da apprezzare. Il richiamo al futurismo colto ha lasciato il segno e resta il pilastro portante di una kermesse dal sapore folcloristico ma che, con un programma ben incentrato sugli eventi e sul popolo, mescola ritmi tradizionali alle nuove tendenze musicali.
Insomma Napoli divisa in due. Da un lato le note d’un tempo con Mario Da Vinci, Gloriana e altri autorevoli esponenti del pentagramma degli anni d’oro e dall’altro Sir Elton John. L’artista, riconosciuto in tutto il mondo, porterà il suo estro, per la verità ben pagato, nella piazza delle feste. Il plebiscito, nella speranza che plebiscito sia. Il “baronetto” servirà ad accendere le luci su una tradizione riscoperta dall’intuito dell’ex assessore Marco Di Lello e proseguita negli anni grazie al lavoro di Dario Scalabrini.
Il direttore dell’Ept ha infatti dato sostanza al progetto arricchendolo di luci e colori oltre che di un tema. Il futurismo scelto per la Piedigrotta 2009 vuole coinvolgere in qualche modo l’intellighenzia napoletana per una commistione di borghesia e popolo nella kermesse che spazia dalla tradizionale sfilata dei carri, alla riflessione sul futuro della città che, diciamocela tutta, senza cultura, anche popolare, non va da nessuna parte.

De Simone: Piedigrotta è un evento morto e putrefatto imposto solo dal potere politico

Settembre 6, 2009 by admin · Comment
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Che c´entra Elton John con la Madonna? Sono scomparsi i reali valori: gli organizzatori si rileggano Doria e Rea

RASSEGNA STAMPA

di Gianni Valentino da la Repubblica Napoli

Mi chiedo a chi serve questa Piedigrotta. È un cadavere putrefatto, un relitto donato alla gente come fosse chissà quale tesoro secolare e invece è soltanto imposta dall´alto, dalla volontà del potere politico. Assessori e presidenti vari adoperano la festa come in passato fecero Garibaldi, i Borbone e, in anni più recenti, Achille Lauro. Qui si tratta di populismo puro

Va giù duro il maestro Roberto De Simone parlando della terza edizione di Piedigrotta. Resuscitata tre anni fa dopo un´assenza lunga cinquant´anni, stavolta la manifestazione è pronta a ospitare, tra gli altri, Geraldine Chaplin, Elton John e John Turturro. Non ditemi che questi personaggi abbiano qualche relazione tradizionale con la Piedigrotta – ribadisce De Simone – . Questi artisti paradossalmente, inconsapevolmente, partecipano al degrado culturale della città di Napoli. Che gli organizzatori rileggano quanto hanno scritto Domenico Rea e Gino Doria su questa celebrazione. Anzi, mi piacerebbe domandare al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha vissuto il periodo storico di metà Novecento, o anche allo scrittore Raffaele La Capria, al regista Francesco Rosi, che cosa pensano di una Piedigrotta gestita in questa maniera

Lei non ha ricevuto mai una proposta in merito alla Piedigrotta? C´è chi potrebbe pensare: si è sentito escluso.
Per l´amor di Dio. Permetta, ma è volgare solo pensarlo. Avrei detto no se mi avessero cercato per un progetto. Sono amareggiato come napoletano colto perché anno dopo anno vedo davanti a noi un baratro sempre più profondo. Parliamo di una manifestazione putrefatta, di un cadavere rispolverato solo per spendere soldi pubblici

Non le pare che in questa città talvolta si tenda a demolire eventi spettacolari?
Ma per carità: se volessi vedere un concerto di Elton John andrei a Londra, non lo cercherei mica in piazza Plebiscito. Cosa c´entra con il culto della Madonna? Questa festa, come tutte le feste popolari, nasce da un culto religioso. Una volta era importante la visita al Santuario, la veglia alla Vergine del 7 settembre. Le persone si radunavano da tutti i quartieri con una partecipazione collettiva e spontanea, come avviene ancora ai Gigli di Nola. Come accade alla Madonna dell´Arco. L´attuale Piedigrotta non ha alcun aggancio con i reali valori che l´hanno generata. Aggiungo: il potere politico ha rimesso in piedi una cosa che già al tempo di Lauro testimoniava un degrado spaventoso. Ma i politici di oggi stanno facendo addirittura peggio di Lauro

Cosa manca alla Piedigrotta?
L´autenticità. Io non sono né di destra né di sinistra. Mi vanto di essere una persona libera e non sopporto le imposizioni del potere. Per non parlare delle pagine trionfalistiche pubblicate dalla stampa. Ristabiliamo un po´ di equilibrio. Tanto per iniziare, si potrebbe insegnare ai giovani l´essenza della festa, conservata tutt´oggi soltanto dai pescatori di Mergellina, devoti alla Madonna. Se poi vogliono illuderci che con quattro spettacoli Napoli ritroverà il suo benessere autorappresentativo, allora la presa in giro è totale. Sopravviviamo in una città dove la sera si ha paura persino di passeggiare per le strade. La criminalità imperversa in maniera incontrollata, la disoccupazione aumenta ogni giorno di più, la scuola è abbandonata a se stessa. Con questi guai i politici pensano a comprare e vendere artisti per un evento morto e putrefatto

Quale soluzione prospetta allora?
Questo non so dirlo. Non so proprio se abbia senso insistere su una manifestazione che già nel dopoguerra aveva esaurito le sue potenzialità. Ricordo che nel 1945 ci fu una vera ripresa, ma fu un´eccezione, credo. La gente voleva vivere la festa in strada, i militari americani accesero le lampadine delle loro camionette lungo via Toledo, e fu bellissimo. Il giornale Il Risorgimento pubblicò una pagina intera su questo stupefacente avvenimento. Non c´era nessun apparato spettacolare, nessuna sfilata di carri allegorici. Fu realmente un momento spontaneo della collettività e la Piedigrotta riuscì. Oggi sapere che in undici giorni di programmazione si susseguono appuntamenti scollati dal senso culturale mi provoca una grande tristezza. Oltretutto ai tempi di Lauro c´era un comitato direttivo. Adesso hanno eliminato anche questo e decidono tutto dall´alto. Non so se le istituzioni pensano di fare campagna elettorale con simili eventi, ma so che si spende a vanvera una marea di soldi pubblici

 

 

 

L’unico vero pericolo è quello di non sentire più niente.

Settembre 5, 2009 by admin · Comment
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La Chiesa, il Pd e il silenzio dei cattolici democratici di Andrea Romano

Settembre 5, 2009 by admin · Comment
Filed under: Politica, politica e cattolici 
 RASSEGNA STAMPA -fonte-

• da Il Sole 24 Ore del 4 settembre 2009, pag. 16

Nella partita nuova e sempre più disordinata che si è aperta tra berlusconismo e Chiesa italiana è da registrare con qualche sorpresa il silenzio dei cosiddetti “cattolici democratici”, ovvero di coloro che hanno predicato e praticato la mediazione politica tra la propria fede e l’esigenza di governare una nazione moderna e plurale.

Naturalmente non sono mancate in Parlamento e nei partiti di opposizione le prese di posizione, anche molto nette, di singoli esponenti cattolici contro le particolarità comportamentali del Presidente del Consiglio e più recentemente contro gli attacchi venuti dalla stampa filo-berlusconiana alla persona di Dino Boffo.

Ma quella che è clamorosamente mancata è la sensazione di una presenza di quella vasta e autorevole area del centro-sinistra che nell’ultimo decennio ha tentato di aggiornare alle condizioni della Seconda repubblica la lezione che fu già di De Gasperi e Moro: testimoniare la propria fede senza rinchiudersi nella rappresentanza confessionale di una sola parte d’Italia, cercare ad ogni passo di coniugare in senso universalistico la vocazione cristiana con lo spirito della democrazia e della giustizia sociale.

La ragioni di quest’assenza non possono essere cercate esclusivamente nei patimenti congressuali del Partito democratico, per quanto l’incombere della vittoria di Bersani nel segno del revival socialdemocratico stia evidentemente concorrendo a togliere energia ed entusiasmo a quell’area C’è forse qualcosa di più nell’incapacità di inserirsi con forza nel primo vero conflitto che si registra da molti anni tra Berlusconi e una componente non secondaria delle gerarchie ecclesiastiche, con le sue inevitabili ricadute su almeno una parte dell’elettorato cattolico di centro-destra.

Qualcosa che ha a che fare con la più recente parabola storica del cattolicesimo democratico, che dopo la stagione di Romano Prodi non sembra più in grado di trovare ragioni abbastanza forti per giustificare la propria identità organizzata e quella funzione di ago della bilancia svolta per molti anni sulla scena politica non berlusconiana.

Nella stagione di Prodi, specialmente per gli ansi del primo Ulivo, l’aspirazione universalistica dei cattolici democratici aveva trovato un nuovo modo di stare al mondo dopo la fine della Dc. Era stata figlia diretta di quell’aspirazione la scelta di Prodi come candidato alla presidenza del consiglio, ma soprattutto fu emanazione di una tradizione alta di amministrazione della cosa pubblica lo schieramento di una classe dirigente che in quegli anni ha saputo distinguersi nel governo del paese e nell’assunzione di scelte coraggiose, necessarie e spesso impopolari.

Comunque la si pensi e comunque si sia votato nel 1996,  è difficile negare che negli ultimi anni dello scorso decennio il contributo venuto dal cattolicesimo democratico alla concreta pratica di governo del paese sia stato di alta qualità. I problemi sono venuti dopo.

Quando la stagione del primo Ulivo si è consumata come tutti ricordiamo e quando dalle soluzioni di governo il protagonismo dei cattolici democratici si è spostato a quel conflitto sui valori che nel frattempo andava colonizzando gran parte dei nostro discorso pubblico.

Qui il centro-destra ha avuto buon gioco nell’assorbire le ragioni del tradizionalismo cattolico, nella debolezza di una cultura politica che se pure si era detta fugacemente liberale non è mai riuscita a darsi forza e coerenza sufficienti a costruire posizioni autonome sui nuovi temi della vita e della persona.

La controprova è nelle più recenti prese di posizione di Gianfranco Fini, che tenta di risalire la china di questa passività collegandosi a quanto negli stessi anni è stato realizzato dai settori più innovativi del centro-destra europeo. Sull’altro fronte, nel centrosinistra, la chiamata al conflitto sui valori ha frantumato la tradizione del cattolicesimo democratico in una piccola nube di appartenenze tutte minoritarie: dall’esperimento teodem con cui si è cercato di costruire un nuovo protagonismo politico dei cattolici non berlusconiani ma lontani dagli stilemi del cattolicesimo di sinistra, alla nostalgia prodiana  degli ulivisti più irriducibili fino al più recente tentativo di Ignazio Marino di ibridare la fede personale con soluzioni bioetiche di segno radicalmente laico.

Tentativi tutti minoritari sia perché incapaci di contrastare la compattezza del neo-tradizionalismo del centro-destra, sia perché inseriti in un contenitore di partito dove ogni singola identità rivendica una propria casella dentro un comune accordo di non belligeranza.

Ogni componente conserva il proprio potere di interdizione e tutte concorrono a definire in modo pattizio una leadership che, anche domani, non sarà che l’ennesima espressione di un passato che non accenna a passare.

Per i cattolici democratici lontani dal governo e spesso anche da una cultura di governo gli effetti di questo accordo nel contesto dell’Italia post-secolare hanno significato la dispersione in molte piccole tribù.

Con il doppio risultato negativo di rendere del tutto pacifico il ritorno egemonico di quella tradizione post-comunista che, seppur indebolita, non ha certamente subìto lo stesso destino di frammentazione.

E soprattutto di perdere la voce nei momenti in cui, come oggi, sarebbe utile e opportuno anche agli occhi di chi non è credente saper mostrare forza e attrattiva nei confronti di un elettorato cattolico quanto meno spaesato di fronte a quanto sta accadendo.

Pare, inoltre, che Kant abbia rivolto queste parole allo storico russo Karamzin: «Date a un uomo tutto quello che desidera e nonostante ciò, proprio in questo istante, egli sentirà che tutto non è tutto». Anche Freud, nel saggio Coloro che soccombono al successo, si era posto un problema analogo in relazione a quanti — dopo aver raggiunto la meta cui aspiravano con tutta l’anima, pur non credendo di poterla mai conseguire — provano soltanto scontentezza. È come se, avendo ottenuto lo scopo, si chiedessero sconsolatamente: «È tutto qui?». Adam Phillips, uno psicoanalista specializzato nel trattamento dei bambini, ha studiato, in altra prospettiva, la dinamica degli eccessi, legandola sostanzialmente alla paura e alla mancata capacità di governare le frustrazioni. In un libro recente, scritto in collaborazione con la storica Barbara Taylor (On Kindness, Penguin 2009) ha anche mostrato come la gentilezza sia anch’essa una forma di misura, temperata da un ingrediente di virtuoso eccesso, di benevolenza verso gli altri come quella del Buon Samaritano. Paradossalmente, chi vince alla lotteria è talvolta infelice, perché il desiderare è più importante dell’ottenere, in quanto non è la realtà a deluderci, bensì le nostre eccessive fantasie, che una maggiore attenzione agli altri potrebbe moderare e, almeno in parte, appagare. Ma chi è capace di convincere di questo quanti inseguono il miraggio di una strepitosa vincita alla lotteria, di una ricchezza infinita in grado di soddisfare i propri, personali desideri infiniti?

Remo Bodei

I cromosomi della furia.(di Enrico De Notaris da la Repubblica Napoli)

Settembre 4, 2009 by admin · Comment
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venerdì, settembre 4, 2009

I termini violenza ed adolescenza, oltre che essere tanto spesso accomunati nelle cronache e nelle narrazioni di fenomeni molto spesso vissuti con fastidio dal mondo adulto, risultano essi stessi frequentemente equivocati e appiattiti su ciò che fenomenicamente appare.
La violenza non è di per se stessa esterna al comportamento umano, anzi la si potrebbe comprendere all´interno degli “organizzatori psichici” che tanto peso hanno avuto e hanno nelle nostre società.
Spesso la rintracciamo nella aggressività che pertiene al campo dell´umano: l´aggressività però, per lo meno in senso psicologico, è un dato irrinunciabile e costitutivo, determina dinamiche che, fin dall´origine della nostra storia, hanno contribuito alla crescita, all´espansione e al dominio dell´uomo sulle altre forme di vita esistenti in natura.
Quando è allora che l´aggressività sfocia in violenza? Semplificando si potrebbe assumere come limite dell´aggressività il passaggio all´atto, il danno inferto all´altro: oltre questi confini l´aggressività viene colta, percepita immediatamente come violenza e si misura in ferite, sottrazioni di beni, abuso fisico sulla persona, eccetera. Per esempio non fatichiamo a riconoscerla nell´adolescente che bastona un altro perché gay, o perché nero o per strappargli un Rolex; fatichiamo invece nel percepirla nel macroscopico, e proprio in quanto tale poco visibile, perché parte ormai del sottofondo esistenziale, dell´acriticamente accettato.

Possiamo prendere spunto da una splendida poesia di Borges che così recita: “…un uomo che coltiva il giardino/ il ceramista che intuisce una forma e un colore/ chi è contento che esista la musica/ chi preferisce che abbiano ragione gli altri/ Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo…”.
E tutti gli altri? Tutti quelli che non preferiscono che abbiano ragione gli altri, ad esempio, stanno salvando il mondo? E se non lo stanno salvando, che cosa ne stanno facendo? Forse lo violentano in modo che esistano altri violentati? E da dove nasce questa violenza che inizia nel rapporto con il vicino di casa, nell´esclusione cui tentiamo di relegare chi ci è diverso, magari perfino nei confronti di chi pensiamo di amare?
Ma soprattutto dove va a finire questa violenza? Forse, percorrendo lunghe catene mentali e comportamentali approda addirittura nella guerra, quella con le armi convenzionali e quelle combattute a colpi di insensibilità umana verso i naufraghi clandestini o verso quelli ai quali si nega l´accesso al sapere e al confronto.

Napoli, si è detto, non è omofoba, basta fare un giretto nei quartieri spagnoli e verificare che trans, omo, femminielli ed altre forme in cui si coniuga la “diversità”, convivono in regime di mutua assistenza nei nostri vicoli. Napoli ha conosciuto i neri fin dal dopoguerra, quelli americani.
Napoli non è intollerante in maniera specifica nei confronti delle minoranze, siamo un popolo troppo imbastardito per non ammetterle nel panorama della nostra quotidianità. Napoli è tra le prime vittime della violenza predatoria della camorra e della corruzione e collusione dello Stato, e quindi ha nel suo patrimonio genetico l´uso della violenza come elemento subìto, quasi come paradigma del suo sopravvivere.
Tale corredo cromosomico si è trasmesso, si è anche incattivito e radicato, per metterla su di un piano psicologico, in una sorta di Super-Io dispotico che detta la sua legge con modalità anche feroci. Si è incarnato nelle pieghe più intime delle relazioni affettive: si è impossessato del potere relativo dei padri sui figli, è diventato norma, regola di vita ed ispirazione dei comportamenti.

A mio avviso è errato pensare che la simmetrizzazione dei rapporti tra genitori e figli sia all´origine del dilagare della violenza: si dice che ora i padri non riescano più a contenere, perché troppo permissivi o incapaci di dire dei no, le istanze aggressive, che poi possono tramutarsi in condotte violente, dei loro figli. Piuttosto appare vero il contrario: la violenza e la sopraffazione vengono ingiunti ai giovani come vie da percorrere per il successo e per primeggiare, cioè per fare in modo che gli altri non abbiano ragione.
Gli adolescenti vivono in questo bagno di parole e di immagini e vengono esclusi dal piacere dell´attesa, del desiderio: proprio come i bambini ai quali non si può promettere un giocattolo da dargli dopo qualche tempo, il loro desiderio può avere solo soddisfazione immediata. L´assenza degli adolescenti in questa sospensione dell´ottenimento è un ritardo della loro maturazione verso la capacità dell´attesa e costituisce un lutto che non riescono a superare. E chi ha ucciso l´adolescenza non è certo il papà permissivo, piuttosto il modello rapace della convivenza che proviene dal mondo immaginifico illustrato ed imposto dai modelli culturali dominanti.

In questa cornice l´aggressività, componente irrinunciabile della nostra natura, assume le vesti della violenza, quell´aggressività che servirebbe ai ragazzi per tendere ad esplorare, come Ulisse, ciò che non conoscono, si trasforma in un´illusoria vittoria momentanea: ecco, sono più forte di questo ricchione e quindi più uomo, posso disporre di un debole da picchiare o da oltraggiare, quindi sono più grande e così potrò tacitare questo tirannico e famelico Super-Io culturale.
Gli adolescenti hanno la morte dentro, hanno appena abbandonato i loro magici balocchi, e per eludere questa morte trasformano in balocchi passivi nelle loro mani chiunque si trovi a tiro, immersi nella strategia del consumo e dell´ingordigia che illusoriamente annulla la distanza tra il mondo delle cose ed il loro essere persone

Chiudete il C.T.O. di Giovanni Laino

Settembre 3, 2009 by admin · Comment
Filed under: Politica 

(E se invece si chiedesse di mandare a casa i responsabili della malasanità,medici e politici, a Napoli ed in Campania ? N.d.R.)

In agosto ho dovuto frequentare il Centro Traumatologico Ortopedico. Solo dopo alcuni giorni ho capito il senso di un manifesto pubblicitario che nella hall avverte: abbi fegato ! Ho dedotto come mai i pazienti fossero tutti di ceto popolare. Anche i ricchi si rompono le ossa ma evidentemente vanno altrove.
Le vittime non sono valutatori indipendenti e obiettivi. Nelle singole esperienze dei parenti dei ricoverati in un ospedale napoletano si è troppo presi dalle emozioni e dalle diverse forme del patire per poter dare un giudizio obiettivo sulla sanità ospedaliera. Certo è che al CTO non si fa alcuna somministrazione di questionari per rilevare il grado di soddisfazione dei beneficiari. Forse le autorità immaginano gli esiti e quindi non fanno questi rilievi, previsti nella carta dei servizi.
La mia amica, ricoverata per quasi trenta giorni, non è stata fra i morti (fisiologici ?) del periodo. Non è stata neanche quella che ha saltato diverse volte la cura in camera iperbarica per assenza dell’autoambulanza. Ha dormito solo una notte in corridoio. L’operazione è riuscita e lei è anche sopravvissuta. Solo un paio di volte abbiamo dovuto evitare la somministrazione della terapia destinata alla ricoverata del letto a fianco subendo pochi altri errori (anche gravi) e ritardi. Abbiamo fatto un bel po’ di esercizi di pazienza per chiedere e ottenere l’assistenza sanitaria e infermieristica, facendo un difficile slalom fra disfunzioni, modi di fare quasi sempre discrezionali e confusione fra diritti e favori.
Medici e infermieri non mancano di professionalità, modi gentili ed operosità, ma sembrano essersi assuefatti ad uno standard di servizi decisamente scadente. Come in altri ospedali, l’assistenza alberghiera è carente, le stanze per diversi aspetti sono fuori norma, gli infermieri fanno le pause sonno e pasti negli orari di lavoro e non di rado attuano velate strategie per minimizzare le loro fatiche, evitando o rinviando servizi e terapie.
Facendo molti sudoku nella sala di attesa che ha due sedie buone e dieci rotte, mi è venuto in mente che stavo facendo un sudoku ben più complicato nel reparto.
Come il sapere medico incarnato in una tipica struttura ospedaliera, il gioco si presenta chiaro nelle regole, suggerisce certezze con l’uso dei numeri e di una griglia rigida e simmetrica. Il grado di difficoltà del gioco è dato dalla patologia. Spesso però persone anziane che hanno già qualche malanno cadono fratturandosi le ossa e allora, come per il magistrato Ivan Il’ič, una caduta può essere l’inizio di un percorso – non privo di misteri- che porta alla morte. In alcuni casi nel gioco subentrano regole non previste: sparisce qualche numero e allora la soluzione dipende dalla fortuna.
Dall’arrivo al pronto soccorso, dove la condizione dei cessi è già un chiaro biglietto da visita dell’ospedale, devi capire come inserire i numeri giusti al posto giusto. Ti rendi conto che oltre alla regola base più semplice, ci sono altri saperi e tecniche di adattamento che devi apprendere. Infatti c’è il modo per avere un posto in un letto anzicchè in una barella, o in una stanza singola ufficialmente dichiarata inutilizzabile, oppure nell’unica singola operativa, sicura se si è un’autorità civile o religiosa. Più occasionale risulta la benevolenza dell’infermiere per restare in stanza ad assistere il proprio congiunto, non esistendo un chiaro e trasparente modo di rilascio di permessi. Il medico di turno accoglie i familiari dei pazienti per dare spiegazioni che spesso però nel tempo non sono coerenti, talvolta contraddittorie, ripropongono l’antica abitudine che un chirurgo mi chiarì tempo fa con uno slogan: il miglior rapporto con il paziente il medico lo ha sul tavolo operatorio, quando dorme e non disturba !
E dire che ho frequentato la seconda divisione, quella più moderna ! Altre, del tutto sottoutilizzate, ricordano scene da anni Sessanta, in una struttura che era nata come centro di cure di prim’ordine. So che a Napoli e in altre città del Sud c’è di peggio ma, tenendo da parte la rabbia per il maltrattamento subito, onestamente vi dico: chiudete quell’ospedale !

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Settembre 1, 2009 by admin · Comment
Filed under: musica 


QUALCUNO ERA COMUNISTA………..

Settembre 1, 2009 by admin · Comment
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