UNEBA NAPOLI:L’ultima beffa ai danni degli enti,e dei minori assistiti
Ancora una beffa, ancora una cattiva notizia per gli istituti associati a Uneba che a Napoli lavorano nell’assistenza dei ragazzi a rischio.
I soldi della Regione non ci sono.
La delibera 189 con cui lo scorso 1 marzo l’assessore regionale al bilancio Alfonsina De Felice e la giunta regionale avevano detto di aver sbloccato 9 milioni di euro per girarli al Comune di Napoli, da tempo ed enormemente debitore nei confronti degli enti Uneba, è senza copertura finanziaria.
Il trasferimento al Comune di Napoli non può essere fatto, perchè gli euro in cassa non ci sono.
E quindi gli enti che si sono indebitati e sottoposti a sacrifici per continuare la loro fondamentale opera verso i minori si ritrovano ancora una volta privi di quello che loro spetta per legge. Devono ancora aspettare, in balia della politica.
La notizia della mancata copertura finanziaria della delibera regionale è emersa solo martedì 30 marzo. Né il Comune di Napoli, che quei soldi dovrebbe ricevere per poi girarli agli enti, aveva mai comunicato nulla al riguardo.
“E’ l’ultima beffa! - scrive il presidente di Uneba Campania Lucio Pirillo nella sua pagina Facebook – Così si prendono in giro cinquemila minori e oltre tremila operatori che lavorano nell’assistenza dei ragazzi a rischio a Napoli”.
E adesso, che fare? “Dopo Pasqua l’onorevole Alessandra Mussolini e il consigliere regionale riconfermato Luciano Schifone (che hanno accompagnato le giustificate rivendicazioni di Uneba) chiederanno, assieme ad Uneba Napoli, un incontro urgente all’assessore De Felice e al sindaco Iervolino”. Nella speranza che prima o poi si arrivi alla risoluzione del problema: cioè, semplicemente, a dare agli enti associati Uneba quel che loro spetta, né più e né meno.
Uneba Campania sarà su Striscia la Notizia.
Sabato 27 marzo infatti il Gabibbo è stato a Pianura, un quartiere della periferia nordoccidentale di Napoli, per raccogliere da Uneba la denuncia dell’abbandono in cui versano le strutture del terzo settore che si occupano di minori a rischio. Un abbandono dovuto agli enormi ritardi nei pagamenti del Comune di Napoli a queste strutture, associate a Uneba.
Ad accogliere il Gabibbo il presidente di Uneba Campania Lucio Pirillo assieme alla onlus “Campania in Movimento” e alla “Fondazione Sam” rappresentata da Cesare Romano.
Il servizio andrà in onda nei prossimi giorni - non sappiamo ancora quando -su Striscia la Notizia, come racconta anche l’agenzia di stampa Ansa.
Il problema dei pagamenti, che tante difficoltà a portato agli enti e, per immediata conseguenza, ai minori di cui questi enti si prendono cura, non è affatto risolto.
La giunta della Regione Campania con delibera 189 del 1 marzo aveva sbloccato una parte degli arretrati spettanti agli enti e li aveva girati al Comune di Napoli. Si tratta di 9 milioni di euro, trasferiti “nonostante non siano ancora definite e concluse le procedure attraverso cui il Comune di Napoli dia conto della tracciabilità delle risorse assegnate rispetto alle azioni messe già in campo”.
Malgrado ciò non sono ancora state definite le modalità della effettiva ripartizione della somma da parte dal Comune e verso gli enti. Sul tema si è svolto anche un incontro presso l’associato Uneba Figlie di Sant’Anna venerdì 19 marzo con la presenza della napoletana presidente della commissione parlamentare infanzia Alessandra Mussolini e del consigliere regionale uscente Luciano Schifone che hanno sostenuto Uneba e gli enti in questa vicenda.
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http://www.uneba.org/campania-uneba-napoli-a-striscia-la-notizia/
L’INDICAZIONE del presidente della Cei Ai cattolici.I vescovi: Il voto sia contro l’aborto
Rassegna Stampa — La Bonino: «SONO SOLITE COSE»-
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corriere della sera.it
Bagnasco: «E’ un’ecatombe collettiva. La cittadinanza inquadri ogni singola verifica elettorale»
CITTÀ DEL VATICANO - La difesa della vita umana, innanzitutto dal «delitto incommensurabile» dell’aborto in tutte le sue forme, è uno dei valori «non negoziabili» in base al quale i cattolici devono votare nelle prossime regionali. È quanto ha indicato, in sintesi, il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, aprendo i lavori del Consiglio episcopale permanente, il «parlamentino» dei vescovi italiani. La candidata del centrosinistra alle Regionali del Lazio, Emma Bonino, ha replicato che si tratta di «un evergreen. Non mi sembra ci sia nessuna novità, sono le solite cose».
VALORI NON NEGOZIABILI - I valori «non negoziabili», ha elencato l’arcivescovo di Genova, sono «la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna». Su questo fondamento, ha spiegato, «si impiantano e vengono garantiti altri indispensabili valori come il diritto al lavoro e alla casa; la libertà di impresa finalizzata al bene comune; l’accoglienza verso gli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l’integrazione; il rispetto del creato; la libertà dalla malavita, in particolare quella organizzata».
ABORTO, «ECATOMBE PROGRESSIVA» - Durissime le sue parole contro l’aborto, descritto come «un’ecatombe progressiva», che si vuole rendere «invisibile» attraverso l’uso di pillole da assumere in casa. «Che cosa ci vorrà ancora - si è chiesto il presidente della Cei - per prendere atto che senza il principio fondativo della dignità intangibile di ogni pur iniziale vita umana, ogni scivolamento diviene a portata di mano?» «In questo contesto, inevitabilmente denso di significati, sarà bene - ha subito proseguito - che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale». «L’evento del voto è - ha detto - un fatto qualitativamente importante che in nessun caso converrà trascurare».
SULLA PEDOFILIA: TRASPARENZA MA NO A DISCREDITO - Il cardinal Bagnasco ha poi affrontato il tema dei recenti scandali di pedofilia. La Chiesa ha imparato da Benedetto XVI a non tacere o coprire la verità, «anche quando è dolorosa e odiosa»; «questo però non significa subire, qualora ci fossero, strategie di discredito generalizzate» ha affermato il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, nella relazione di apertura del Consiglio episcopale permanente, il «parlamentino» dei vescovi italiani. Il porporato ha anche espresso al Papa la «vicinanza» dell’episcopato italiano: «quanto più, da qualche parte, si tenta di sfiorare la sua limpida e amabile persona, tanto più il popolo di Dio a lui guarda commosso e fiero».
«NON SI METTA IN DISCUSSIONE IL CELIBATO» - «Nessun caso tragico» può oscurare «la bellezza» del ministero sacerdotale, ha detto il porporato. «Nè mettere in discussione il sacro celibato che ci scalda il cuore e ispira la vita», ha aggiunto. «Non sentitevi mai guardati con diffidenza o abbandonati, e - ha detto Bagnasco rivolgendosi agli uomini di Chiesa - non scoraggiatevi; siate sereni sapendo che le nostre comunità hanno fiducia in voi e vi affiancano con lo sguardo della fede e le esigenze dell’amore evangelico». Il sacerdote - ha scandito - non è «un disagiato, nè uno scompensato, benchè il clima culturale odierno non faciliti certo la crescita armonica di alcuno. Il sacerdote è un uomo che, non solo nel tempo del seminario, coltiva la propria umanità nel fuoco dell’amore di Gesù».
“I cari estinti”, nuovo libro di Gianpaolo Pansa, la verità sulla Prima Repubblica
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In libreria il nuovo libro del giornalista e scrittore Giampaolo Pansa. Già dal titolo, “I cari estinti” ( editore Rizzoli, pagine 502, 22 euro), è possibile intuire che la nuova fatica di Pansa darà la stura ad un ampio e vivace dibattito di carattere storico e politico. Pansa ritrae infatti i politici della Prima Repubblica, da Rumor a Fanfani, da Moro ad Andreotti, da Berlinguer ad Almirante e Craxi ripercorrendo il tempo del terrorismo, del ciclone P2, dello scontro tra comunisti e socialisti.
Ed è indicativo e non casuale che in un articolo di presentazione de “I cari estinti”, comparso su Il Messaggero, Giampaolo Pansa si soffermi proprio sul capitolo dedicato a Bettino Craxi, cui sono dedicate molte pagine.
« Il libro è fondato soprattutto – scrive Pansa – sui miei ricordi di giornalista. Ho scelto di narrare i big politici che ho conosciuto bene in tanti anni di lavoro per La Stampa, il Giorno, il Corriere della sera, la Repubblica e per due settimanali, l’Espresso e Panorama». «Ma Craxi – precisa Pansa – l’avevo incontrato quando entrambi frequentavamo l’università. Al tempo dei parlamentini studenteschi, poi cancellati dal sessantotto. Eravamo quasi coetanei, Bettino del 1934 , io del 1935. Dunque il mio racconto, ed il mio giudizio su di lui, si fondano su una grande quantità di osservazioni, di colloqui, di interviste, di cronache dei congressi socialisti. Un patrimonio professionale acquisito lungo un quindicennio, a partire dalla metà degli anni Settanta. Il giorno che Craxi diventò segretario del Psi, nel luglio del 1976, anch’io stavo al Midas Hotel di Roma come inviato del Corriere. Ed ebbi subito il modo di comprendere quale sarebbe stata la sua strategia per il futuro. Era basata su due constatazioni quasi banali. Entrambe dettate dai risultati delle elezioni politiche di quell’anno. La prima era che il Psi, guidato da Francesco de Martino, aveva portato a casa un bottino molto modesto, appena il 9,6 per cento dei voti. E rischiava di ridursi ad una piccola parrocchia, fatalmente attratta dall’espansione comunista. La seconda riguardava l’esistenza di due partiti dominanti, la Dc ed il Pci. Insieme la Balena Bianca e l’Elefante Rosso possedevano il 73 per cento dei voti. Dunque rappresentavano un potere quasi assoluto».
La storia di Pansa relativa a Craxi ne ripercorre poi tutte le tappe fino a Tangentopoli ed all’esilio volontario di Hammamet. «Ancora oggi – conclude Pansa- molti credono che sia stato l’unico corrotto della politica italiana. Il mio libro spiega che non è così. E conferma che un po’ di onesto revisionismo non serve soltanto a ristabilire la verità sulla guerra civile, ma anche sulla Prima Repubblica ».
Come si può arguire le polemiche non mancheranno.
Con la famiglia Con la Costituzione
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avvenire
IL MANIFESTO DEL FORUM PER LE REGIONALI
di FRANCESCO RICCARDI
Venti aspiranti governatori e quasi 500 candidati consiglieri hanno firmato
Oggi sono ancora le barriere ideologiche a frenare un’adeguata valorizzazione di questa risorsa per l’intera societa’
il manifesto del Forum delle associazioni familiari «Per una Regione a misura di famiglia». Si tratta certamente di un successo, che lascia ben sperare per l’avvio della nuova legislatura, se alle firme apposte seguiranno comportamenti coerenti.
Ma insieme è anche la riprova di come, purtroppo, sul tema della famiglia si fatichi a superare certe barriere ideologiche.
Non si riesca a intendersi bene su ‘cosa’ sia ancora e sempre la famiglia e quale debba essere, pur nelle legittime differenze di opinioni e strategie politiche, l’approccio metodologico corretto da seguire per sostenerla.
Un passo indietro per comprendere. Il manifesto del Forum, offerto ai candidati di tutte le liste come base di impegno in vista della tornata elettorale, propone «qualche idea di politiche per la famiglia». Sono sei punti relativi alla tutela della vita umana; i beni relazionali; l’educazione, la scuola e la formazione; il mondo del lavoro; il sociale e il sistema fiscale, declinati prima a livello generale e poi specifico per ogni regione nella quale si va alle urne.
Fondamentale è la premessa – «Ricominciamo dalla Costituzione» – nella quale si ricordano la definizione della famiglia scolpita nell’articolo 29, i doveri e diritti dei genitori fissati nell’articolo 30 nonché l’impegno della Repubblica ad agevolare la famiglia inserito nell’articolo 31. Vengono infine richiamati gli articoli 117 e 118 nei quali si specificano i compiti amministrativi degli enti locali e si sottolinea in particolare il principio di sussidiarietà e di valorizzazione delle autonome iniziative ‘dal basso’ dei cittadini.
Il manifesto del Forum, dunque, non è un documento confessionale, non parla della visione cristiana citando il catechismo, ma declina i valori costituzionali, laici, nella realtà italiana, indicando una serie di piste operative. Rispetto alle quali, ovviamente, si può essere più o meno d’accordo riguardo alla loro efficacia oppure alla scala delle priorità o ancora rispetto agli strumenti suggeriti, ma che trovano appunto la loro radice naturale nella nostra Carta fondamentale. Quella stessa Costituzione che da più parti viene spesso sbandierata, qualche volta persino brandita, sempre giustamente difesa quale collante della coesione sociale del Paese.
Eppure, se si analizza la ‘geografia’ dei firmatari, ci si accorge di come il tema della famiglia sia assunto quale priorità – almeno nelle intenzioni – dai candidati dell’Udc e dalla gran parte di quelli del Pdl e della Lega.
Sembrerebbe invece interessare solo una minoranza dei politici di una grande forza popolare come il Partito democratico e poco o nulla gli esponenti di un movimento, l’Italia dei valori, che pure della legalità e del rispetto della Costituzione ha fatto la sua bandiera.
Della Carta, però – così come di quei valori fondamentali che più volte sono stati richiamati in questi ultimi giorni – non si può prendere solo ciò che appare congeniale, senza guardare al disegno complessivo e al metodo di intervento indicato.
Di fatto, prima ancora della scarsità delle risorse e delle differenti ricette, sono le barriere ideologiche a frenare un’adeguata valorizzazione della ‘risorsa famiglia’. Riconoscere che la famiglia è un bene in sé per l’intera società riesce ancora difficile a molta parte del mondo politico.
Spaventa evidentemente la soggettività che la famiglia stessa può dispiegare, se viene appena appena sussidiata.
Il Dopo-Bassolino:Vincenzo De Luca sdogana anche la volgarità!
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E De Luca offende come il Cavaliere
giovedì, marzo 25, 2010
(di Fabio Ciaramelli da il Corriere del Mezzogiorno)
La polemica tra i leader dei diversi partiti, soprattutto in campagna elettorale, è sempre stata caratterizzata da passionalità e toni particolarmente accesi. Ma in questi ultimi giorni di escalation linguistica che sta forse superando i livelli di guardia e di buon gusto, colpisce una specie di strabismo nella valutazione del medesimo fenomeno. Quando Berlusconi insulta le donne dello schieramento avversario (ieri l’altro Mercedes Bresso, un po’ di tempo fa Rosi Bindi), i suoi sostenitori non fanno una piega, mentre i suoi critici si stracciano le vesti. Quando invece è Di Pietro a inciampare nell’infortunio linguistico, i ruoli s’invertono: i primi esecrano, gli altri minimizzano. Eppure il cattivo gusto dovrebbe essere liberato dal pregiudizio ideologico e bisognerebbe denunciarlo a prescindere dalle proprie appartenenze politiche e dalle proprie convenienze elettorali. Senonché, in una fase di stallo della vita politica nazionale e locale come quella che stiamo vivendo, il ricorso alla battutaccia e all’insulto personale appare forse come l’unico strumento in grado di rivitalizzare un dibattito altrimenti spento.
Forse questa è la ragione per cui i sostenitori di Vincenzo De Luca, la cui retorica è tutta basata sulla demonizzazione degli avversari, si guardano bene dal denunciarne il linguaggio spesso oltraggioso, che però appare diretto e capace di far presa su un elettorato smarrito e desideroso di recuperare l’orgoglio di un’identità indebolita. Non sono mancate, tuttavia, all’interno della stessa area culturale di sinistra, analisi critiche acute e severe di questa deriva che non è solo linguistica.
Antonello Caporale qualche settimana fa ha scritto su Repubblica: «Mondo diviso in due: amici e nemici. Nemici, soprattutto: che diventano “ cafoni” o anche “ sciacalli”, “ iettatori” e “sfaccendati”. Linguaggio rozzo, vocabolario che negli anni è mutato nella chiarezza dei propositi fino ad apparire truce: “Li prenderemo a calci nei denti e li butteremo a mare, prima che ci scappi un nostro morto”. Gli italiani si accorgeranno presto – conclude Caporale – di quanto sia padano questo sessantenne meridionale. Troveranno, molto più che in Vendola, lo sviluppo di una antropologia berlusconiana, e attrezzature tipiche del leader di Arcore».
Del resto, lo stesso De Luca ha dichiarato di apprezzare Berlusconi per la sua assenza di doppiezza. Insomma, anche il sindaco di Salerno rifugge dall’ipocrisia e dalle buone maniere, usa un linguaggio dai modi spicci, non rinuncia al trash: e forse proprio per questo gode di ampio seguito. Nel suo eloquio fiorito, il presidente della provincia di Napoli Cesaro diventa «uno sterminatore di congiuntivi, che definire uomo sarebbe biologicamente scorretto»; Gasparri o Travaglio sono solo degli «sfessati» che gli intralciano il cammino; i «lacci e i lacciuoli» del protezionismo burocratico odiati dai liberisti si trasformano in «palle e pippe»; gli intellettuali che lo criticano fanno solo la figura dei «pipì» (il che fa il paio con i «frocetti di Roma» sbeffeggiati qualche tempo fa da Cosentino, quando sperava d’essere ancora candidato del centrodestra). E poi, dopo aver insultato Travaglio, De Luca non si peritò d’aggiungere: «Spero di incontrarlo di notte al buio». Al che Massimilano Gallo si chiese sul Riformista: «Non era stato De Luca ad autoproclamarsi candidato anti-camorra? E ora che fa, usa il linguaggio dei camorristi?».
In fin dei conti, il modo di parlare esprime anzitutto il proprio modo di essere e di pensare. Una politica seria e responsabile dovrebbe prendere radicalmente le distanze da questa degenerazione linguistica e mentale. Ma è proprio con questo tipo di linguaggio che De Luca riesce a infiammare le platee, come d’altronde accade a Berlusconi e ai leghisti con le loro battute più o meno grevi. Ecco perché a criticarli sono solo gli avversari. A prescindere da ogni preoccupazione etica o magari solo estetica, in politica il successo sdogana anche la volgarità.
“Mo’ che il tempo s’avvicina”…….
Riconoscere il male e non farsi incantare
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Dalla parte dei piccoli e degli indifesi di Marco Tarquinio
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Lasciatevi riconciliare con Dio». Per otto volte, nell’articolata riflessione con cui ha aperto ieri i lavori del Consiglio permanente della Cei, il cardinal Angelo Bagnasco ripete – con le parole dell’apostolo Paolo – questo messaggio semplice e forte. Parla «a cuore aperto» alla Chiesa e al mondo secolare, in questa Italia nella quale comunità cristiana e comunità civile tendono ancora e sempre a coincidere pur in un tempo di spaesamento e di insidiosa divisione. E mostra come riconciliarsi con Dio sia riconciliarsi con la Verità, quella maiuscola che ispira, sprona e regge i singoli credenti e l’intera cattolicità e dalla quale provengono le briciole di verità – a volte apparentemente minuscole, ma mai insignificanti – che dobbiamo saper riconoscere e testimoniare nella realtà quotidiana. È quel che ci insegna Benedetto XVI con la forza di uno «speciale carisma della parola». È quel che «in nome di Cristo» ci tocca, qui e ora, per contribuire a convertire il mondo in una realtà più giusta e più buona, soprattutto con i piccoli e con gli indifesi.
Riconciliarsi con Dio e con la verità, oggi significa prima di ogni altra cosa fare i conti senza esitazioni con un male «aberrante» che ha insidiato e può ancora insidiare anche la Chiesa. Una Chiesa che nel servizio educativo alle giovani generazioni dispiega, da sempre e con rinnovato slancio in questa precisa stagione, la sua passione per l’umano e la sua preoccupazione per il bene comune. Il presidente della Conferenza episcopale italiana, in piena consonanza con il Papa, affronta perciò con severa lucidità il tema dei casi di «abusi sessuali compiuti su minori da ecclesiastici».
Ricorda la prontezza con la quale i vescovi italiani hanno fatto proprie «già da anni» le direttive della Santa Sede per vigilare, formare al sacerdozio e «fare giustizia nella verità». Registra la tragica diffusione del «fenomeno della pedofilia» in tanti e diversi ambienti delle società moderne (e la relativista, incredibile, tendenza a legittimarlo). E segnala una serena determinazione a non subire «strategie di discredito generalizzato». Trasparenza, pulizia, fermezza e fiducia nella dedizione a Dio e al bene dei sacerdoti italiani sono i cardini di una linea chiara. Fatta di totale «vicinanza» alle vittime e di un giudizio netto: quando di una simile colpa si macchia «una persona consacrata», la gravità morale è «ancora maggiore». E anche un solo caso è di «troppo».
Riconciliarsi con Dio e con la verità, significa al tempo stesso riconoscere che c’è un «delitto incommensurabile» che segna la nostra epoca. E da uomini e donne di coscienza i cristiani, come ogni persona retta, non possono distogliere lo sguardo dall’«ecatombe progressiva» dell’aborto. Tre milioni di vite spazzate via nel solo 2008 e nella sola vecchia Europa. Un’immane tragedia sociale che si vorrebbe ridurre, pillola dopo pillola, ad «alchimia domestica», continuando l’atroce inseguimento della «invisibilità» assoluta – addirittura etica – dei bambini non nati. In un tempo elettorale come quello che stiamo vivendo in Italia, con la chiamata alle urne per il governo di ben 13 Regioni, tutto questo guiderà giudizio e voto dei cristiani.
Sono, infatti, in lizza candidati protagonisti di un’ostentata militanza abortista – il nome e la storia di Emma Bonino sono un sinonimo di tale drammatica scelta – e autori di programmi segnati da ambiguità e ostilità oggettive ai «valori non negoziabili», quelli cioè sui quali un cattolico non dovrebbe mai fare mercato con chicchessia e di fronte ad alcuna seduzione di potere. Il cardinale Bagnasco, anche qui in richiamata e piena consonanza con Papa Benedetto, sottolinea ancora una volta questi valori cardine: la vita umana dal concepimento alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, la libertà religiosa ed educativa. Ce li offre, frutto di una concezione per la quale la dignità della persona umana è «incomprimibile», come bussola essenziale. Rammentandoci che rappresentano il fondamento di un «complesso indivisibile di beni»: dalla “libertà dalla malavita organizzata” al diritto al lavoro, dall’integrazione degli immigrati al rispetto per il creato.
Riconciliarsi con Dio e con la verità, significa – insomma – impegnarsi per recuperare il senso del fare società. E del fare politica. Il presidente della Cei ce lo conferma, ricordando a noi tutti che l’«imperativo dell’onestà» non consente alibi e non conosce eccezioni. Il suo è un richiamo concretissimo al «non rubare» (e chi sottrae qualcosa ai beni pubblici «ruba di più», dice il cardinale), ma è contemporaneamente un richiamo alla nostra intelligenza e alla nostra libertà di cristiani e di cittadini. Chi è davvero onesto sa riconoscere il male, e non se ne fa incantare.
VINCENZO DE LUCA VOLA ALTO
LE RAGIONI POLITICHE DI DE LUCA…….CALDORO? PASTORELLO DI S.GREGORIO ARMENO
Tanto ironico quanto polemico,
Vincenzo De Luca, candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Campania, durante il suo comizio in piazza del Plebiscito non ha risparmiato stoccate al suo avversario, Stefano Caldoro, candidato del Pdl: “un Pastorello di San Gregorio Armeno”.
E poi battute sul presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, “un oltraggio alla biologia, uno sterminatore dei congiuntivi, uno che viene chiamato ‘Gigino la polpetta’”.
De Luca ha invitato Caldoro al confronto, “sia domani che lunedì, quando vuole, e si porti pure Emilio Fede”. ”
Per qualche settimana non l’ho visto, pensavo fosse passato dallo stato solido a quello gassoso.
E poi è sempre con qualche balia, ora Cosentino, ora la Carfagna”. “Per non parlare di giovedì, che tenerezza, l’ho visto accanto a Berlusconi, immobile, come un pastorello di Capodimonte, di San Gregorio Armeno”.
“E voi volete che siano loro il rinnovamento? - ha detto poi rivolgendosi alla platea - Il rinnovamento dovrebbe essere rappresentato da Luigi Cesaro che definirlo essere umano è un oltraggio alla biologia?
Sono stato a Sant’Antimo (la città di Cesaro, ndr) di lui hanno detto tante cose e che lo chiamo Gigino la polpetta. Una vergogna dare la Regione nelle loro mani”. Poi un ultimo passaggio per Caldoro: “Si può dire a lui quello che diceva Churchill di un suo avversario. E’ arrivata una macchina davanti al Parlamento, si è aperta la portiera, non è sceso nessuno. Era Caldoro”.
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ANSA
La moglie di Nugnes: «Gogna ignobile niente potrà ridarci Giorgio»
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sabato, marzo 20, 2010
(di Giuseppe Crimaldi da il Mattino)
Nel giorno che decreta l’uscita di scena di 14 imputati dal processo Global Forum sono in molti a brindare. La fine di un incubo riesce finalmente a sciogliere i nervi e a far tornare il sorriso a chi viene assolto o prosciolto dalle accuse: quattro ex assessori del Comune di Napoli, docenti universitari, un ex vicepresidente della Provincia, un parlamentare, un ex colonnello della Guardia di Finanza ed altri ancora.
L’entusiasmo, però, si ferma in città e non arriva a Pianura. Non può espandersi fino a coinvolgere la palazzina bassa di una anonima strada di campagna dove viveva il quinto assessore comunale che venne indagato per l’inchiesta sul Global service. Quell’uomo si chiamava Giorgio Nugnes. Morì suicida il 29 novembre 2008 con una corda al collo, sopraffatto dalla disperazione in quelli che erano i giorni della gogna mediatica.
In casa Nugnes, ieri, si celebrava solo una ricorrenza: la festa del papà. Di buon mattino la moglie, Mimma Costantino, è uscita di casa con i due figli, di 20 e 14 anni. I tre. sono andati al cimitero. Fiori bianchi sulla tomba del marito e padre, ex assessore alla Protezione civile di Palazzo San Giacomo finito nel gorgo dei sospetti della prima ora, arrestato per la rivolta scatenata a Pianura in piena emergenza rifiuti.
Sopraffatto dagli eventi, si trovò solo in quei giorni terribili, Giorgio Nugnes. Trovò di fronte a sé solo porte chiuse.
«Non credo ci sia proprio niente da dire – replica la moglie, raggiunta al telefono dopo la notizia della sentenza emessa dal gup Campoli – se non che Giorgio è stato portato al suicidio da un ignobile gogna mediatica. E non intendo rilasciare interviste». La conversazione termina prima ancora di incominciare. Ferma e risoluta, questa donna ora dimostra di non voler pensare ad altro che a proteggere i suoi figli. E sì che di cose ne avrebbe da dire.
Ai parenti e con qualche amico fidato ieri ha trasferito lo stato di profondo disagio e l’angoscia che finisce col riaprire una ferita che difficilmente si potrà rimarginare.
Ha continuato a disperarsi, a cercare un motivo valido – ammesso che ne esista uno; chiedendosi come sia potuto succedere, come l’esistenza di suo marito, che non aveva mai voluto lasciare quella casetta di via Grottole, lontano dai lussi degli appartamenti collinari con vista sul Golfo, sia stato in fondo l’unico a pagare veramente. E nel modo più caro. «Lo hanno diffamato ancora prima di processarlo», si è sfogata la signora Mimma con un’amica, aggiungendo di aspettarsi, almeno da qualche parte, di leggere una nota di autocritica e di scuse da parte di quegli stessi organi di informazione che – dice – sono tra i primi responsabili della tragedia. Tra i primi, ma non gli unici che hanno ora, sostiene l’insegnante, il dovere di interrogarsi su come si danno in pasto alla stampa notizie capaci di distruggere una vita.
Il resto è pura cronaca, carta di giornale. Le assoluzioni, i proscioglimenti e pure le uniche due condanne non riescono a portare sollievo, in questo modesto villino di Pianura che guarda verso la collina di castagni e lecci. La verità giudiziaria ora importa veramente poco alla famiglia Nugnes. Sono lontani i giorni dei successi, dell’ascesa in politica, delle vittorie. Ancora troppo vicini quelli del dramma, dell’umiliazione inferta con un provvedimento giudiziario del divieto di dimora che imposto a Giorgio Nugnes negli ultimi giorni di vita. «Chi ci ripagherà di tutto ciò?»: eccolo il vero tarlo che continua a scavare e non abbandona la moglie e i due figli dell’ex assessore.
Consorzio e stipendi, indaga la Digos A un autista 4.000 euro in busta-paga
rassegna stampa
giovedì, marzo 18, 2010
(di Pietro Falco da il Corriere del Mezzogiorno)
La Procura ha deciso di vederci chiaro sulle vicende del Consorzio unico di bacino delle province di Napoli e Caserta, finito nell’occhio del ciclone per l’agitazione dei dipendenti che da venerdì scorso bloccano il conferimento nell’impianto Cdr di Santa Maria e nella discarica Maruzzella 3, lasciando accumulare nelle strade montagne di rifiuti. Il Corriere del Mezzogiorno ha denunciato l’esistenza di sprechi nella gestione del Consorzio (700 promozioni in tre mesi, sei milioni l’anno per il noleggio degli automezzi e 98 dipendenti a guardia di una discarica chiusa).
Il blitz
Ieri mattina una pattuglia della Digos si è recata presso la sede casertana del Consorzio per acquisire una serie di documenti, tra cui quelli relativi agli ultimi due stipendi pagati ai dipendenti: dicembre e gennaio, atteso che il mancato pagamento di febbraio è all’origine delle manifestazioni di protesta. Il che induce a ritenere che nel mirino degli investigatori ci siano in particolare le promozioni a pioggia che sono state concesse negli ultimi tre mesi — in prossimità della scadenza elettorale — alla stragrande maggioranza dei lavoratori in organico: circa 700 su 1.287. Aumenti di livello che il direttore generale Antonio Scialdone avrebbe continuato ad attribuire, a quanto risulta, anche negli ultimi tre o quattro giorni, nonostante le notizie già apparse sugli organi di informazione e le polemiche scaturite.
La legge
Ma in realtà le promozioni sembrano destinate ad essere presto vanificate. Perché le disposizioni di legge approvate dal Parlamento per chiudere l’emergenza rifiuti in Campania, prevedono espressamente che il Consorzio definisca (entro 20 giorni dall’entrata in vigore della norma) la dotazione organica del personale in servizio alla data del 31 dicembre 2008, in base alle attività di competenza del piano industriale.
Personale che dovrà poi trasferito alle neocostituite società provinciali, la casertana Gisec e la napoletana SapNa, con i profili professionali maturati alla stessa data.
Le buste paga
Tra le buste paga acquisite ieri mattina dalla Digos spiccano quelle dell’assistente del direttore generale, Enrico Bovienzo, e del suo autista personale, Giuseppe Lagnena. Per lo stipendio di dicembre Bovienzo ha incassato 4.777 euro. E ancor di più a gennaio, ben 5.459 euro. L’autista Lagnena, invece, 3.511 euro a dicembre e 4.162 a gennaio. Davvero tanti, anche a voler conteggiare l’erogazione di possibili indennità ed una quota consistente di straordinario. Basti pensare che un dirigente di primo livello (con mansioni di coordinatore di area) in base al contratto collettivo nazionale di Federmanger percepisce 55 mila euro all’anno lordi di stipendio base: suddivisi per 13 mensilità, fanno circa 2500 euro netti, con l’aggiunta di ulteriori 1.500 euro lordi di indennità di funzione. In pratica, paradossalmente, chi ha la piena responsabilità della macchina amministrativa, guadagna meno dell’assistente o dell’autista del direttore generale. Oltretutto, con una delibera dell’8 marzo scorso, il vicepresidente Enrico Parente — che guida l’ente dalla fine di aprile del 2009, dopo la decadenza di Enrico Fabozzi — aveva cancellato l’indennità di funzione, senza offrire motivazioni. Anche se poi martedì scorso il direttore generale l’ha ripristinata «fino al 31 marzo».
La tensione
Si respirava una brutta aria ieri al Consorzio, per i quattro dirigenti coordinatori. L’articolo pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno per denunciare gli sprechi è stato evidentemente male accolto dai massimi vertici della struttura, che hanno fatto balenare minacce di ritorsioni per le notizie filtrate all’esterno. Ma il Consorzio unico è stato varato dal governo con l’obiettivo dichiarato di razionalizzare il servizio e risparmiare risorse: come si conciliano con queste finalità le promozioni a pioggia garantite alla stragrande maggioranza del personale, gli appalti milionari alle società di vigilanza, il nolo degli automezzi ed i finanziamenti andati perduti per l’acquisto degli stessi? E’ accettabile che chi lo ha gestito fino ad oggi con questi risultati possa rimanere ancora al suo posto?