Jesuit Provincial of Argentina on Pope Francis
Jesuit Provincial of Argentina on Pope Francis
Che cosa deve fare un vescovo se non aprire le porte?”: papa Francesco raccontato da Buenos Aires
Il direttore del mensile Ciudad Nueva, rivista espressione del Movimento dei focolari in Argentina, ha seguito per anni l’operato del nuovo Papa come arcivescovo di Buenos Aires. In esclusiva per Popoli, Alberto Barlocci traccia un ritratto dello stile pastorale di Jorge Mario Bergoglio: dai rapporti con il potere politico alla sobrietà e semplicità degli atteggiamenti, dall’amicizia con i poveri alle relazioni fraterne con i suoi sacerdoti.
Alcuni aspetti del carattere di papa Bergoglio - che il mondo sta imparando a conoscere in questi giorni - descrivono molto bene quello che è stato il nostro arcivescovo per tanti anni. Per esempio la sua austerità personale non è certo qualcosa di estemporaneo. Da tempo il cardinale ha rinunciato alla sede usata tradizionalmente dai presuli di Buenos Aires, all’auto e all’autista, per abitare una stanzetta dell’arcivescovato e muoversi in bus o in metropolitana. Varie foto lo ritraggono mentre parla con la gente per strada o sui mezzi pubblici.
La sua austerità ha sorpreso più di una volta. Ad esempio, si racconta che in occasione di un incontro interreligioso, quando i partecipanti sono arrivati in arcivescovato, hanno trovato ad aspettarli al portone lo stesso Bergoglio, senza alcun collaboratore. E lui, con quel senso dell’humor misto a una punta di verità, ha detto loro: «Che cos’altro deve fare un cardinale se non aprire porte?».
Già, che cos’altro deve fare un cardinale o, meglio, un vescovo? Dovrebbe anzitutto stare con il suo popolo. Lo ha detto subito, appena eletto, dal balcone della Basilica di San Pietro. Con la sua elezione si è iniziato un percorso nel quale il pastore cammina insieme al suo popolo e il popolo con il suo pastore.
Anche da vescovo, Jorge Mario Bergoglio ha saputo accompagnare la sua gente. ha sempre accompagnato i meno abbienti, i più deboli, i poveri, gli ammalati. «Ha celebrato per noi innumerevoli messe, tra i cartoneros (i raccoglitori di cartoni dalla spazzatura), nelle villas miserias (baraccopoli), tra i disoccupati - commenta Emilio Persico, parlamentare fortemente impegnato nel sociale -. Ha sempre avuto una parola per noi».
Bergoglio ha sempre messo in guardia dai facili entusiasmi per le forti crescite macroeconomiche, soprattutto in presenza di grandi masse di diseredati. E per questo non ha esitato a inviare i suoi sacerdoti nelle villas miserias. Ha curato la loro formazione e li ha appoggiati in ogni momento. Si è spesso recato da loro sapendo che occupavano un posto di «frontiera», un’espressione a lui cara e che indica i luoghi nei quali oggi deve stare la Chiesa.
Le sue parole sono spesso state intepretate dal governo di Nestor Kirchner, prima, e poi della moglie e attuale presidente Cristina, come un rimprovero o una critica. Gli attacchi, a volte anche con toni beceri, non si sono fatti attendere. Ma, da attento lettore della realtà sociale e politica, Bergoglio ha continuato la sua azione pastorale, mettendosi sempre dalla parte di chi attende giustizia e non clientelismo, da chi deve essere aiutato e non usato ai fini elettorali.
Innervositi dalle sue omelie in occasione del Te deum che tradizionalmente si celebra a maggio nella cattedrale di Buenos Aires, per ricordare l’inizio della rivoluzione che condusse all’indipendenza, i Kirchner hanno preferito visitare altre diocesi, dove sapevano che non avrebbero incontrato Bergoglio. La sua voce però non ha taciuto: «A Buenos Aires, la schiavitù non è stata abolita. Qui c’è chi lavora ancora come lavoravano gli schiavi», ha predicato davanti ai membri della Ong La Alameda (che significa «il pioppeto»), instancabili attivisti contro la tratta di donne per fini sessuali e contro il lavoro in condizioni di schiavitù nei tanti atelier tessili clandestini o tra gli stagionali che arrivano dai Paesi vicini per la vendemmia o la raccolta della frutta. Piaccia o meno ai potenti, lui ha continuato imperterrito a stare dove sentiva di dover essere: tra la gente che soffre.
Il 30 dicembre 2004, una torrida giornata di fine d’anno a Buenos Aires si è conclusa tragicamente con un incendio nella discoteca Cromañón, dove si teneva un concerto rock. Il rogo, scatenato dal lancio di un bengala, si è propagato fulmineo: alla fine si sono contati quasi cento morti e centinaia di intossicati. La città, ancora una volta, è stata colpita duramente dall’assenza di controlli, dalla corruzione e dall’irresponsabilità (i gestori della sala avevano tenuto chiuse con le catene le uscite di sicurezza). Bergoglio ha voluto che la Chiesa accompagnasse questo momento di dolore. Per molte persone colpite dalla tragedia quella vicinanza ha rappresentato una consolazione e per qualcuno addirittura il ritrovare una fede che sembrava aver perduto. Per tanti è stato l’incontro con una Chiesa vicina, amica, sorella e madre.
È accaduto lo stesso nel febbraio dello scorso anno, quando la negligenza, l’irresponsabilità e la corruzione hanno provocato la tragedia ferroviaria della stazione Once, in pieno centro città: 51 morti e centinaia di feriti. Anche in quell’occasione, l’arcivescovo di Buenos Aires ha saputo mettere la Chiesa al servizio della povera gente costretta a viaggiare su servizi pubblici in condizioni pessime.
L’arcivescovo che, per scelta personale, non concedeva interviste (chi scrive ha tentato varie volte di ottenere un colloquio con lui, ma senza successo), aveva però chiare le priorità. E tra queste c’erano indubbiamente i sacerdoti della sua diocesi. In un mondo nel quale la vocazione sacerdotale è un’avventura, i suoi presbiteri sapevano di poter poter fare affidamento in lui in qualsiasi momento, certi di trovare un fratello, un amico, un padre, una luce. Prima di far visita a un parroco, gli faceva una telefonata discreta. Poi, arrivato sul posto, si fermava a lungo con il sacerdote, magari sorseggiando insieme a lui un mate (la tipica bevanda argentina).
Occasioni in cui appariva con forza anche la sua profonda formazione teologica e la sua grande esperienza pastorale. Bergoglio era capace di scrutare i meandri dell’anima, lì dove la Chiesa «esperta in umanità» può fare miracoli.
Davanti a una tale sensibilità, si comprende allora come si sciolgano come neve al sole le accuse infondate di collusione con la dittatura o di non aver protetto alcuni sacerdoti sequestrati. Hanno calunniato Gesù, non possono sperare meno i successori degli apostoli. Anche in questo caso, Bergoglio risponderebbe con il silenzio.
Alberto Barlocci
Direttore di Ciudad Nueva
www.popoli.it
Papa Francesco: non temete la bontà, il potere è servizio
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Il primo Angelus di Papa francesco
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Papa francesco Omelia nella chiesa di Sant’Anna
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TG2 Dossier: Doc Papa Ratzinger a cura di Lucio Brunelli - Rai 2
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È fumata nera E Benedetto XVI segue il voto in tv
Previsione rispettata: fumo nero in piazza San Pietro.
Nel primo scrutinio i voti si sono sparpagliati tra il super-favorito
Scola e i suoi competitori più accreditati: Scherer, Bergoglio, Ouellet, Dolan.
Prima votazione senza esito (ma utile a pesare le candidature e a definire i rapporti di forza interni
al sacro collegio) al termine di una giornata suggestiva.
La mattina nella basilica vaticana, la messa d’inizio conclave è
stata interrotta da un boato dei fedeli quando dall’altare il decano Sodano ha
ringraziato Benedetto XVI per il suo pontificato.
Poi a metà pomeriggio i 115 elettori sono solennemente entrati
in processione nella Cappella Sistina: hanno giurato in latino, ciascuno con il
proprio accento e la mano sul Vangelo sotto il Giudizio Universale di Michelangelo.
«Al momento non c’è una maggioranza, però alcuni candidati con poche preferenze si ritireranno
presto» spiega un porporato che ha partecipato al conclave del 2005 e alle dieci congregazioni
generali.
Anche Dolan prevede la fumata bianca entro giovedì.
Appena scoccherà il quorum (77) un miliardo e duecento milioni
di cattolici avranno la loro guida spirituale e si chiuderà uno dei periodi
più travagliati della storia ecclesiastica, caratterizzato dai continui ostacoli opposti dalla Curia
romana all’azione riformatrice di Ratzinger che ieri ha assistito all’«Extra omnes» in tv.
Il suo braccio destro Gaenswein è stato tra gli ultimi a lasciare il seggio elettorale più prestigioso del
mondo.
Sodano non vota perché è «over 80», ma ha affidato il mandato ai porporati, richiamando la
necessità che la Chiesa sia unita, proclami un messaggio di giustizia e pace a livello mondiale,
pratichi (e per primo lo faccia il Papa) il messaggio dell’amore.
L’Osservatore romano precisa che ogni Pontefice esprime la Chiesa che lo ha eletto.
Insomma, novità e tradizione si mescolano nellavita di una Chiesa bimillenaria.
I papi nascono da attese e speranze, ma anche da alchimie di
vecchio e nuovo, da riti e tradizioni.
E il conclave appare al momento aperto.
Alla fumata la piazza, gremita oltre ogni attesa malgrado
la pioggia e il freddo invernale, trattiene il respiro. Alle 19,41 i
primi sbuffi sono grigi, ma poi i fumogeni dimostrano la loro efficacia.
Anche l’ex premier Romano Prodi lascia San Pietro mentre i conclavisti sono già nella residenza Santa Marta.
Preghiera, poche ore di sonno e stamattina all’alba si ricomincia. « Un’atmosfera molto particolare e intensa
all’interno della Sistina», sottolinea il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Si elegge il 265° successore di Pietro e, dopo quello del primo Pontefice nella storia che rinuncia per
motivi d’età, nessun colpo di scena può essere escluso.
Tra i «reclusi» d’Oltretevere c’è anche il primo elettore cinese.
Oggi il «celeste impero» è ciò che la Russia fu 35 anni fa per il polaccoWojtyla.
Votare un Pontefice è «al contempo una scelta politica e religiosa» ha ricordato prima di
entrare in conclave il curiale De Paolis.
Conclave, il ruolo effimero degli ordini e dei movimenti
Si dice che la Chiesa respira soprattutto nei nuovi Movimenti, talvolta capaci di rideclinare carismi
ancor vivi negli Ordini religiosi sorti nel tempo.
Non pochi i cardinali affascinati da ciellini — o cielleini, come diceva padre Turoldo —, focolarini, santegidini, neo-catecumenali, carismatici…
Non pochi quelli affezionati ai meeting più diversi.
Più rare le voci di dissenso sui rischi di divisioni o parallelismi
che poche analogie trovano fra le più rassicuranti e radicate Congregazioni religiose.
Al di là delle opinioni sul valore o la data di questa fotografia, sorge una domanda: come si
esprimono queste realtà nelle ore che stiamo vivendo? Assistiamo ad un dinamismo che è solo
orante oppure interessato? E a dirla tutta: è un potere vero quello loro attribuito alla vigilia del
Conclave?
Parole ricorrenti da campagne elettorali- ne vanno infatti sottolineando un ruolo silenzioso e
determinante, non scevro da capacità di pressioni e alleanze. Ma è davvero così? Questa non è
l’attesa sul voto politico dei cattolici…
E allora?
Non si tratta, tutt’al più, di investimenti reciproci,
nati nel segno di fiduciose amicizie che hanno già costruito vicendevoli punti di riferimento?
Investimenti valoriali, si capisce, che consentono non dividendi, ma maggior serenità per il futuro.
Insomma è un conto dire che possa esserci stata — e possa ripetersi — una certa influenza
dell’Opus Dei (ma qui parliamo di una prelatura personale che fra l’altro arriva con un solo elettore
in conclave, Cipriani Thorne), un conto fantasticare circa pacchetti di voti controllati da questo o
quel movimento fuori dalla Sistina.
Procediamo per gradi.
Dove o su chi graviterebbero gli sforzi presunti che in queste ore
coinvolgerebbero gli Istituti religiosi e quasi tutti i Movimenti? (Quasi, perché i Legionari sono
citati solo per i misfatti del loro fondatore, già in rapporto con qualche porporato ora bersaglio di
fulmini «interdittivi»).
I nomi e i numeri ci sono.
Quelli dei cardinali appartenenti agli Ordini e quelli vicini ai Movimenti.
In qualche caso presenti in tutti e due gli elenchi.
Al primo appartengono
Schönborn e Dukae, domenicani;
Ouellet, sulpiziano;
tre francescani minori: Vallejo, Hummes, FoxNapier,
e il cappuccino O’Malley;
quattro salesiani: Amato, Bertone, Farina e Rodriguez Maradiaga;
il gesuita Bergoglio (del quale si dice ancora: «Gli basterebbero quattro anni per cambiare le cose»);
lo scalabriniano De Paolis e Boutros Raï, maronita della Beata Vergine Maria (ora assistenti del
camerlengo Bertone);
Rodé, vincenziano;
Terrazas Sandoval, redentorista; George, oblato di MariaImmacolata;
Errázuriz Ossa, dei Padri di Schönstatt.
Insomma: diciotto persone, voci di un gruppo
importante, seppur frammentato, che da O’ Malley a Ouellet e Schönborn esprime più di un favorito
per il dopo Ratzinger.
Anche se per trovare un papa «religioso» bisogna risalire al 1831, al
camaldolese Bartolomeo Cappellari, Gregorio XVI, dopo il quale il cardinale Bernetti coniò lo
slogan «né frate, né forestiero».
Sin qui le «famiglie religiose» con alti profili come Maradiaga che nei giorni scorsi ripeteva: «Se
esistono le cordate il problema è loro, noi dobbiamo rispondere al Signore non a Movimenti».
Continuando con l’altro elenco, ecco i cardinali punto di riferimento di quei Movimenti che si sono
irrobustiti con Giovanni Paolo II: laicali sì, ma con tante guide in talare. Vi troviamo Scola, radici in
Comunione e Liberazione; Antonelli e Braz de Aviz, focolarini; Dias, Filoni, Cordes, Cañizares,
vicini al Movimento dei carismatici.
E diversi porporati habitués della Comunità di Sant’Egidio, anche
se si ricordano sempre Sepe o Policarpo.
Chiusi gli elenchi, si fatica a credere che questi gruppi abbiano
la forza di spingere realmente candidati esclusivi. Non fosse altro che per alcuni
elementi. Prima per le regole e le prassi di quest’elezione singolare, ben diverse dai percorsi con cui
si sono costruite talune «carriere». Poi perché solo impossibili accordi trasversali consentirebbero
opzioni sin qui disgiunte. Infine perché chi li dipinge come lobby e think tank al servizio di
«pastori» o «curiali», «progressisti» o «conservatori», «ratzingeriani» o «antiratzingeriani» (!), li
sopravvaluta.
Piuttosto, si muoveranno di più dopo il conclave: perché tutti interessati a sostenere il
successore di Benedetto XVI, e ad avere un Papa — detto in sintesi rozza — «favorevole» o almeno
«non contrario».
Ma per chi è papabile il legame, ad esempio, con un Movimento è un vantaggio o un limite? La
risposta è che in conclave si vota una persona, non una coalizione. Aiuta, ma se ce ne sono le
condizioni, il peso del Movimento nel suo grado di presenza e credibilità internazionale. Ma i
cardinali elettori votano innanzitutto l’autorevolezza di un uomo: costruita sulle sue virtù, le sue
doti, la sua forza spirituale e umana. Quando c’è, non ha bisogno di rivendicazioni e interferenze
Come nel 2005, anche questa volta, serviranno almeno 77 voti per trovarla. E avremo — come
diceva il cardinal Laurenti entrando nel conclave del 1922 — «il papa che Dio vuole o almeno
concede».
di Marco Roncalli
rassegna stampa-fonte
“Corriere della Sera” marzo 2013
Il Concilio Vaticano II - 6/8
Gulag : Solovki,isole delle lacrime - 4/4
Gulag : Solovki,isole delle lacrime - 4/4