Jesuit Provincial of Argentina on Pope Francis

Marzo 20, 2013 by admin · Comment
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Jesuit Provincial of Argentina on Pope Francis

Che cosa deve fare un vescovo se non aprire le porte?”: papa Francesco raccontato da Buenos Aires

Il direttore del mensile Ciudad Nueva, rivista espressione del Movimento dei focolari in Argentina, ha seguito per anni l’operato del nuovo Papa come arcivescovo di Buenos Aires. In esclusiva per Popoli, Alberto Barlocci traccia un ritratto dello stile pastorale di Jorge Mario Bergoglio: dai rapporti con il potere politico alla sobrietà e semplicità degli atteggiamenti, dall’amicizia con i poveri alle relazioni fraterne con i suoi sacerdoti.

Alcuni aspetti del carattere di papa Bergoglio - che il mondo sta imparando a conoscere in questi giorni - descrivono molto bene quello che è stato il nostro arcivescovo per tanti anni. Per esempio la sua austerità personale non è certo qualcosa di estemporaneo. Da tempo il cardinale ha rinunciato alla sede usata tradizionalmente dai presuli di Buenos Aires, all’auto e all’autista, per abitare una stanzetta dell’arcivescovato e muoversi in bus o in metropolitana. Varie foto lo ritraggono mentre parla con la gente per strada o sui mezzi pubblici.
La sua austerità ha sorpreso più di una volta. Ad esempio, si racconta che in occasione di un incontro interreligioso, quando i partecipanti sono arrivati in arcivescovato, hanno trovato ad aspettarli al portone lo stesso Bergoglio, senza alcun collaboratore. E lui, con quel senso dell’humor misto a una punta di verità, ha detto loro: «Che cos’altro deve fare un cardinale se non aprire porte?».
Già, che cos’altro deve fare un cardinale o, meglio, un vescovo? Dovrebbe anzitutto stare con il suo popolo. Lo ha detto subito, appena eletto, dal balcone della Basilica di San Pietro. Con la sua elezione si è iniziato un percorso nel quale il pastore cammina insieme al suo popolo e il popolo con il suo pastore.
Anche da vescovo, Jorge Mario Bergoglio ha saputo accompagnare la sua gente. ha sempre accompagnato i meno abbienti, i più deboli, i poveri, gli ammalati. «Ha celebrato per noi innumerevoli messe, tra i cartoneros (i raccoglitori di cartoni dalla spazzatura), nelle villas miserias (baraccopoli), tra i disoccupati - commenta Emilio Persico, parlamentare fortemente impegnato nel sociale -. Ha sempre avuto una parola per noi».
Bergoglio ha sempre messo in guardia dai facili entusiasmi per le forti crescite macroeconomiche, soprattutto in presenza di grandi masse di diseredati. E per questo non ha esitato a inviare i suoi sacerdoti nelle villas miserias. Ha curato la loro formazione e li ha appoggiati in ogni momento. Si è spesso recato da loro sapendo che occupavano un posto di «frontiera», un’espressione a lui cara e che indica i luoghi nei quali oggi deve stare la Chiesa.
Le sue parole sono spesso state intepretate dal governo di Nestor Kirchner, prima, e poi della moglie e attuale presidente Cristina, come un rimprovero o una critica. Gli attacchi, a volte anche con toni beceri, non si sono fatti attendere. Ma, da attento lettore della realtà sociale e politica, Bergoglio ha continuato la sua azione pastorale, mettendosi sempre dalla parte di chi attende giustizia e non clientelismo, da chi deve essere aiutato e non usato ai fini elettorali.
Innervositi dalle sue omelie in occasione del Te deum che tradizionalmente si celebra a maggio nella cattedrale di Buenos Aires, per ricordare l’inizio della rivoluzione che condusse all’indipendenza, i Kirchner hanno preferito visitare altre diocesi, dove sapevano che non avrebbero incontrato Bergoglio. La sua voce però non ha taciuto: «A Buenos Aires, la schiavitù non è stata abolita. Qui c’è chi lavora ancora come lavoravano gli schiavi», ha predicato davanti ai membri della Ong La Alameda (che significa «il pioppeto»), instancabili attivisti contro la tratta di donne per fini sessuali e contro il lavoro in condizioni di schiavitù nei tanti atelier tessili clandestini o tra gli stagionali che arrivano dai Paesi vicini per la vendemmia o la raccolta della frutta. Piaccia o meno ai potenti, lui ha continuato imperterrito a stare dove sentiva di dover essere: tra la gente che soffre.
Il 30 dicembre 2004, una torrida giornata di fine d’anno a Buenos Aires si è conclusa tragicamente con un incendio nella discoteca Cromañón, dove si teneva un concerto rock. Il rogo, scatenato dal lancio di un bengala, si è propagato fulmineo: alla fine si sono contati quasi cento morti e centinaia di intossicati. La città, ancora una volta, è stata colpita duramente dall’assenza di controlli, dalla corruzione e dall’irresponsabilità (i gestori della sala avevano tenuto chiuse con le catene le uscite di sicurezza). Bergoglio ha voluto che la Chiesa accompagnasse questo momento di dolore. Per molte persone colpite dalla tragedia quella vicinanza ha rappresentato una consolazione e per qualcuno addirittura il ritrovare una fede che sembrava aver perduto. Per tanti è stato l’incontro con una Chiesa vicina, amica, sorella e madre.
È accaduto lo stesso nel febbraio dello scorso anno, quando la negligenza, l’irresponsabilità e la corruzione hanno provocato la tragedia ferroviaria della stazione Once, in pieno centro città: 51 morti e centinaia di feriti. Anche in quell’occasione, l’arcivescovo di Buenos Aires ha saputo mettere la Chiesa al servizio della povera gente costretta a viaggiare su servizi pubblici in condizioni pessime.
L’arcivescovo che, per scelta personale, non concedeva interviste (chi scrive ha tentato varie volte di ottenere un colloquio con lui, ma senza successo), aveva però chiare le priorità. E tra queste c’erano indubbiamente i sacerdoti della sua diocesi. In un mondo nel quale la vocazione sacerdotale è un’avventura, i suoi presbiteri sapevano di poter poter fare affidamento in lui in qualsiasi momento, certi di trovare un fratello, un amico, un padre, una luce. Prima di far visita a un parroco, gli faceva una telefonata discreta. Poi, arrivato sul posto, si fermava a lungo con il sacerdote, magari sorseggiando insieme a lui un mate (la tipica bevanda argentina).
Occasioni in cui appariva con forza anche la sua profonda formazione teologica e la sua grande esperienza pastorale. Bergoglio era capace di scrutare i meandri dell’anima, lì dove la Chiesa «esperta in umanità» può fare miracoli.
Davanti a una tale sensibilità, si comprende allora come si sciolgano come neve al sole le accuse infondate di collusione con la dittatura o di non aver protetto alcuni sacerdoti sequestrati. Hanno calunniato Gesù, non possono sperare meno i successori degli apostoli. Anche in questo caso, Bergoglio risponderebbe con il silenzio.

Alberto Barlocci
Direttore di Ciudad Nueva

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