Chiudete il C.T.O. di Giovanni Laino
(E se invece si chiedesse di mandare a casa i responsabili della malasanità,medici e politici, a Napoli ed in Campania ? N.d.R.)
In agosto ho dovuto frequentare il Centro Traumatologico Ortopedico. Solo dopo alcuni giorni ho capito il senso di un manifesto pubblicitario che nella hall avverte: abbi fegato ! Ho dedotto come mai i pazienti fossero tutti di ceto popolare. Anche i ricchi si rompono le ossa ma evidentemente vanno altrove.
Le vittime non sono valutatori indipendenti e obiettivi. Nelle singole esperienze dei parenti dei ricoverati in un ospedale napoletano si è troppo presi dalle emozioni e dalle diverse forme del patire per poter dare un giudizio obiettivo sulla sanità ospedaliera. Certo è che al CTO non si fa alcuna somministrazione di questionari per rilevare il grado di soddisfazione dei beneficiari. Forse le autorità immaginano gli esiti e quindi non fanno questi rilievi, previsti nella carta dei servizi.
La mia amica, ricoverata per quasi trenta giorni, non è stata fra i morti (fisiologici ?) del periodo. Non è stata neanche quella che ha saltato diverse volte la cura in camera iperbarica per assenza dell’autoambulanza. Ha dormito solo una notte in corridoio. L’operazione è riuscita e lei è anche sopravvissuta. Solo un paio di volte abbiamo dovuto evitare la somministrazione della terapia destinata alla ricoverata del letto a fianco subendo pochi altri errori (anche gravi) e ritardi. Abbiamo fatto un bel po’ di esercizi di pazienza per chiedere e ottenere l’assistenza sanitaria e infermieristica, facendo un difficile slalom fra disfunzioni, modi di fare quasi sempre discrezionali e confusione fra diritti e favori.
Medici e infermieri non mancano di professionalità, modi gentili ed operosità, ma sembrano essersi assuefatti ad uno standard di servizi decisamente scadente. Come in altri ospedali, l’assistenza alberghiera è carente, le stanze per diversi aspetti sono fuori norma, gli infermieri fanno le pause sonno e pasti negli orari di lavoro e non di rado attuano velate strategie per minimizzare le loro fatiche, evitando o rinviando servizi e terapie.
Facendo molti sudoku nella sala di attesa che ha due sedie buone e dieci rotte, mi è venuto in mente che stavo facendo un sudoku ben più complicato nel reparto.
Come il sapere medico incarnato in una tipica struttura ospedaliera, il gioco si presenta chiaro nelle regole, suggerisce certezze con l’uso dei numeri e di una griglia rigida e simmetrica. Il grado di difficoltà del gioco è dato dalla patologia. Spesso però persone anziane che hanno già qualche malanno cadono fratturandosi le ossa e allora, come per il magistrato Ivan Il’ič, una caduta può essere l’inizio di un percorso – non privo di misteri- che porta alla morte. In alcuni casi nel gioco subentrano regole non previste: sparisce qualche numero e allora la soluzione dipende dalla fortuna.
Dall’arrivo al pronto soccorso, dove la condizione dei cessi è già un chiaro biglietto da visita dell’ospedale, devi capire come inserire i numeri giusti al posto giusto. Ti rendi conto che oltre alla regola base più semplice, ci sono altri saperi e tecniche di adattamento che devi apprendere. Infatti c’è il modo per avere un posto in un letto anzicchè in una barella, o in una stanza singola ufficialmente dichiarata inutilizzabile, oppure nell’unica singola operativa, sicura se si è un’autorità civile o religiosa. Più occasionale risulta la benevolenza dell’infermiere per restare in stanza ad assistere il proprio congiunto, non esistendo un chiaro e trasparente modo di rilascio di permessi. Il medico di turno accoglie i familiari dei pazienti per dare spiegazioni che spesso però nel tempo non sono coerenti, talvolta contraddittorie, ripropongono l’antica abitudine che un chirurgo mi chiarì tempo fa con uno slogan: il miglior rapporto con il paziente il medico lo ha sul tavolo operatorio, quando dorme e non disturba !
E dire che ho frequentato la seconda divisione, quella più moderna ! Altre, del tutto sottoutilizzate, ricordano scene da anni Sessanta, in una struttura che era nata come centro di cure di prim’ordine. So che a Napoli e in altre città del Sud c’è di peggio ma, tenendo da parte la rabbia per il maltrattamento subito, onestamente vi dico: chiudete quell’ospedale !