Una sinistra ancora in parte subalterna all’uso della violenza
rassegna stampa
da Il Riformista del 16 dicembre 2009
di Ritanna Armeni
Si può essere di sinistra e avere un moto di pietà, di fronte al volto insanguinato di un avversario? Si può essere fieramente e radicalmente avversi a un progetto politico e rimanere sgomenti se chi lo incarna è fatto oggetto di violenza? E, infine, si può continuare a criticare con tutta l’energia possibile una linea politica, una strategia e una proposta e poi essere solidale con chi la persegue se questi si trova in un momento di fragilità?
Sono quasi sicura che chiunque a sinistra, di fronte a queste domande risponderebbe affermativamente. Sono anche preoccupata per il fatto che di fronte a un fatto concreto, il ferimento di Berlusconi molti, non pochi, hanno mostrato un atteggiamento diverso. Di che tipo? Le reazioni a caldo sono state varie e a 48 ore dall’ incidente di piazza Duomo mi pare di poterne riportare almeno quattro. La prima la posso definire di pensosa preoccupazione. Non per il ferito, ma per la situazione politica che il ferimento di Berlusconi determinava: la possibilità di un ricompattamento della maggioranza, un indebolimento dell’opposizione, un rafforzamento delle posizioni del premier. Tutte preoccupazioni naturali, ovviamente, e sulle quali ci si interrogherà nei prossimi giorni, ma sorprendentemente prive di ogni sgomento e di ogni emozione a qualche minuto dall’aggressione. La seconda possiamo definirla della relativizzazione o minimizzazione e se ne è fatta infelicemente portavoce una donna solitamente intelligente e appassionata come Rosy Bindi. Il premier - si è detto - non faccia la vittima, sono cose che capitano a un uomo pubblico che fa un bagno di folla. E poi - sempre nella linea della minimizzazione - si è trattato di un pazzo, un isolato che con lo scontro politico e il clima del Paese non c’entra nulla. Anche in questo caso, curiosamente, gli effetti pesanti, non simbolici, dell’aggressione: una ferita al volto, due denti spezzati e un naso fratturato, scompaiono.
Viene un certo imbarazzo a definire il terzo atteggiamento che potremmo definire “complottista”. In poche parole si avanza il sospetto che qualcuno abbia organizzato il tutto per creare solidarietà attorno a Berlusconi, per ricompattare il suo popolo e la sua maggioranza. C’è poi una quarta reazione che non si è ancora pienamente espressa, ma che nei prossimi giorni sicuramente si manifesterà sui giornali e nei talk show e che possiamo definire di “vittimismo”. Essa è sintetizzabile così: ecco qui, ora noi dell’opposizione non potremo più parlare e criticare con forza, con durezza, perché il premier ha passato tre notti in un ospedale. Ancora una volta la libertà di critica e di espressione viene messa a tacere. Non so francamente quanto questi atteggiamenti e queste reazioni corrispondano a un reale sentire e quanto invece siano, mostrati ed esibiti per esprimere un’irriducibilità al nemico. Ma è poco importante. È importante, invece che essi siano stati assunti, che queste siano le frasi usate nelle conversazioni, nei commenti, nelle battute di una parte. E che, contemporaneamente molti a sinistra abbiano negato ogni accenno allo sgomento, alla solidarietà, alla pietà o, semplicemente, all’emozione.
Perché in parti non marginali del popolo e degli intellettuali della sinistra sono presenti gli atteggiamenti che ho appena descritto? So bene che quasi sicuramente, queste forme di reazione si potrebbero constatare in una situazione simile anche a destra ma questo non è un buon motivo per non interrogarsi. Buona parte degli osservatori politici ritiene che essi siano propri di una sinistra che fa riferimento a un giustizialismo senza se e senza ma, a una politica fondata sulla demonizzazione dell’avversario e sulla personalizzazione che peraltro riconosce dall’altra parte, a destra, protagonisti altrettanto radicalizzati. I giornali di destra poi vanno oltre e puntano il dito, fanno i nomi dei responsabili: Di Pietro, Travaglio, Santoro, Il Fatto, Repubblica.
Non mi sento di essere d’accordo. Questa matrice culturale c’è sicuramente, ma le origini sono più lontane, le radici più profonde, la storia più antica. La radice forte è la subalternità nei confronti della violenza. Di fronte a un atto violento perpetrato nei confronti del nemico non è ancora maturato in questi decenni - che pure di violenza ne hanno vista tanta - un atteggiamento di reale, completo, indiscusso ripudio. All’opposto la violenza nei confronti dell’avversario politico, trasformato in nemico (oggi violenza verbale soprattutto e per fortuna) è il metro con il quale si pensa di misurare la volontà e la capacità di opposizione. La subalternità nei confronti della violenza è dannosa quanto la violenza stessa. Negli anni 70 e 80 i violenti veri e propri erano pochi, ma erano molti, moltissimi coloro che mantenevano dentro e fuori i grandi partiti della sinistra un atteggiamento subalterno, di tolleranza, di comprensione. Essa era qualcosa di cui magari non si era capaci, ma alla quale non ci si opponeva chiaramente e radicalmente perché indicava tutto sommato una passione, una dedizione alla causa. Essa, ad esempio, e non l’intelligenza delle forme di lotta è stata ritenuta per decenni la prova della capacità e della volontà di opporsi all’avversario di classe. Le lotte di liberazione nazionale e la Resistenza erano ancora vicine.
Ancora oggi evidentemente per molti è così. Le reazioni e gli atteggiamenti nei confronti del premier ferito, l’assenza o addirittura la vergogna di fronte ai sentimenti di pietà e di solidarietà umana non hanno altra spiegazione. Di recente lo storico Giovanni De Luna nel libro “Il corpo del nemico ucciso” spiega come l’atteggiamento nei confronti del corpo del nemico è anche un documento straordinario per conoscere l’identità del carnefice. Mi è tornato in mente questo concetto proprio in questi giorni. E si parva licet componere magnis (De Luna parla dei grandi conflitti mondiali e in questo caso parliamo di un episodio incomparabilmente più limitato) mi sono chiesta: che sinistra è quella che per esistere pensa di dover eliminare la pietà nei confronti del corpo ferito di un suo avversario?
E ho tirato un sospiro di sollievo quando ho visto Pierluigi Bersani che si recava al San Raffaele in visita a Silvio Berlusconi.