Antonio Di Pietro …Processo Bassolino:veleno al posto del concime
Così nel tempo si è confuso il recupero ambientale delle cave,
il ripristino morfologico delle aree interessate,
in altre parole la bonifica
con la messa a discarica
di materiale imbevuto di fanghi tossici.
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Hanno inondato i terreni della Campania con tonnellate di rifiuti spacciandoli per frazione organica stabilizzata. Il veleno al posto del concime. E tutto a spese dei contribuenti italiani.
Un’altra udienza illuminante del Processo Bassolino, che si celebra a Napoli nell’aula bunker del carcere “Poggioreale”, fa capire come l’intreccio tutt’altro che virtuoso tra imprese e apparati burocratici con poteri illimitati abbiano provocato danni irreversibili al territorio di una delle regioni più vaste d’Italia.
Un sistema messo a punto grazie all’ormai consolidato “metodo dell’emergenza” che rende i “commissari straordinari” figure fuori da ogni controllo, mentre le imprese più forti si dividono la torta dei finanziamenti in ballo.
Veleno al posto del concime.
Ascoltando le testimonianze delle due consulenti, che hanno risposto alle domande dei Pubblici Ministeri Paolo Sirleo e Giuseppe Noviello, viene fuori come uno dei passaggi fondamentali del ciclo dei rifiuti, così come previsto dal mega-contratto stipulato dopo il 2002 tra il gruppo Impregilo-Fibe-Fisia Italimpianti ed il commissario straordinario per l’emergenza ambientale, fosse completamente privato di ogni efficacia.
Secondo il piano straordinario le imprese avrebbero dovuto costruire 7 impianti di produzione Cdr e stabilizzazione dei residui organici e due inceneritori.
Il ciclo prevedeva che della massa dei rifiuti in circolazione il 35% si trasformasse, dopo un meticoloso trattamento, il combustibile da rifiuti da destinare all’incenerimento. Un altro 35% di materiale organico da stabilizzare e rendere, di fatto, materiale da concime. Un’altra percentuale, attorno al 5%, materiale ferroso così da conferire in discarica solo il 15 % del totale.
Ed è sul trattamento del 30% di FOS, frazione organica stabilizzata, che si è concentrata l’attenzione della quinta sezione penale del Tribunale di Napoli, presieduta da Maria Adele Scaramella, ascoltando la testimonianza di due consulenti FIBE e FISIA che hanno raccontato come nel confronto tra teoria e pratica, le stesse imprese lasciassero uno spazio abissale.
Lorella Rossi e Paola Muraro hanno spiegato la delicatezza del processo di stabilizzazione della componente organica del rifiuto, che consiste nel rendere inerte la parte “viva” dei rifiuti grazie all’azione svolta dalla componente microbica degli stessi che in condizioni termiche (temperatura attorno ai 55 °C) e di umidità ottimali si trasforma fino a divenire materiale innocuo per l’ambiente.
Ma negli impianti fu rilevata, oltre alla scarsa preparazione del personale, una non continua efficienza degli impianti che spesso si fermavano alterando il processo di stabilizzazione.
La volontà delle testimoni di non danneggiare oltremodo le imprese per le quali hanno svolto attività di consulenza, si è scontrata con le incalzanti domande dei pubblici ministeri che, in alcuni passaggi, le hanno fatte cadere in contraddizione.
Infatti loro stesse, con delle mail sequestrate nel corso delle perquisizioni, sollecitavano i responsabili delle imprese perché svolgessero con perizia un lavoro fatto, invece, con molta approssimazione.
Nelle due linee di trattamento dei rifiuti organici, a volte, si è fatto finire del tal quale che, ovviamente, non poteva essere stabilizzato.
Così nel tempo si è confuso il recupero ambientale delle cave, il ripristino morfologico delle aree interessate, in altre parole la bonifica con la messa a discarica di materiale imbevuto di fanghi tossici.