La religione del futuro per Hans Kung
di Filippo Gentiloni
rassegna stampa -
fonte il manifesto
In questi giorni anche da noi Hans Kung ha dominato il dibattito religioso: del suo ultimo libro «Ciò che credo» (Rizzoli) si è parlato un po’ dappertutto. Un fatto che già la dice lunga sulla situazione del cattolicesimo nel nostro paese.
Una situazione di forte presenza, ma anche di vivace discussione.
Kung è un credente convinto che però fra i teologi cattolici è uno dei più critici (gli può fare compagnia, fra gli altri, Raimon Panikkar).
I suoi attacchi alle posizioni vaticane non riguardano soltanto alcune questioni particolarmente discusse, come quelle che toccano il sesso, la salute, il sacerdozio.
La critica di Kung va più a fondo e riguarda soprattutto il rapporto fra il cattolicesimo e le altre posizioni religiose.
È in crisi soprattutto la pretesa cattolica di essere l’unica verità assoluta, relegando tutte le altre posizioni in una sorta di serie B.
«Sono e resto - afferma Kung - membro leale della mia Chiesa.
Credo in Dio e nel suo Cristo, non credo tuttavia ‘nella’ Chiesa.
Al suo interno rifiuto ogni tentativo di mettersi sullo stesso piano di Dio, ogni trionfalismo arrogante e ogni trionfalismo egoistico, resto aperto alla comunità della fede cristiana nella sua totalità, a tutte le Chiese».
Una posizione ecumenica, oggi largamente condivisa anche in campo cattolico.
E ancora: «Io non spero in una unità delle religioni o in un sincretismo di qualche tipo. Spero in una pace ecumenica fra le religioni mondiali. (…)
Io non rinuncio alla speranza. Questa è la mia visione: non c’è pace fra le nazioni senza la pace religiosa, non c’è pace religiosa senza dialogo fra le religioni».
E sul futuro: «Ha un futuro solo una religione che mostra il suo volto umano e benevolo, un volto invitante e non un viso dai tratti stravolti, che inducono disgusto». È questo il volto dell’odierno cattolicesimo? Il libro di Kung ci spinge a chiedercelo.