Vesuvio sicuro, fallito il piano di Bassolino(Si tratta del programma, elaborato dalla giunta Bassolino nel 2003 e dotato, almeno nelle intenzioni, di una provvista finanziaria di 750 milioni)
rassegna stampa -
di Simone di Meo
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Il Sole 24 Ore
Doveva essere il progetto capace di ridisegnare l’hinterland vesuviano. È stato un fallimento, come non ha difficoltà ad ammettere l’ex assessore regionale all’Urbanistica, Gabriella Cundari: «Siamo riusciti a istruire solo le prime 4mila domande di accesso ai finanziamenti del “Piano Vesuvia”, poi i soldi del mio assessorato sono stati utilizzati per ripianare i debiti del comparto sanità e siamo stati costretti, gioco forza, a fermarci».
Ma che cos’è il “Piano Vesuvia”? Si tratta del programma, elaborato dalla giunta Bassolino nel 2003 e dotato, almeno nelle intenzioni, di una provvista finanziaria di 750 milioni da spendere in un quindicennio, per il progressivo svuotamento della zona rossa (comprendente diciotto Comuni alle falde del vulcano per circa 700mila abitanti): ogni famiglia avrebbe avuto diritto a un bonus casa di 30mila euro per l’acquisto, la costruzione o la ristrutturazione di abitazioni di proprietà al di fuori dell’area di pericolo.
«In realtà - commenta ancora l’ex assessore Cundari - questo programma, che pure aveva ricevuto un premio europeo per l’originalità, si è dimostrato assai fragile sotto due punti di vista. Il più importante, quello economico: scarse le risorse impegnate; il secondo, non meno significativo: non erano stati previsti gli scompensi determinati nel mercato immobiliare locale a causa dei fitti in nero». Infatti, per ogni nucleo familiare che ufficialmente andava via dalla zona rossa, ce n’era un altro che lo sostituiva abusivamente, con il risultato paradossale che il Comune di residenza vedeva diminuire i propri abitanti, con tutte le implicazioni demografiche e amministrative del caso, senza per questo ottenere alcun beneficio. Anzi.
Gli appartamenti rimasti liberi – avevano ipotizzato gli ideatori del Piano – sarebbero stati trasformati, previo cambio di destinazione d’uso da residenziale in attività produttiva, in botteghe artigiane o in b&b, così da rilanciare anche l’economia dei Comuni del comprensorio vesuviano.
«Ma nessuno si è reso conto - puntualizza ancora Cundari - che questa opzione avrebbe avuto un senso se gli alloggi liberati si fossero trovati, tutti o quasi, in aree omogenee; invece, si è verificato il caso che in una strada si liberavano due abitazioni, molto spesso piccole e da ristrutturare, in un’altra se ne rendevano disponibili altre due e così via. Una dislocazione a macchia di leopardo che non era in alcun modo compatibile con l’idea originaria di sviluppo economico e decongestione abitativa della zona rossa».
E nulla si è fatto nemmeno con i dieci milioni di fondi europei, che Palazzo Santa Lucia aveva promesso per le piccole e medie imprese di nove Comuni (Boscoreale, Boscotrecase, Ercolano, Pompei, Portici, San Giorgio a Cremano, Torre Annunziata, Torre del Greco e Trecase) finalizzati a potenziare le attività nei settori dell’artigianato e del restauro, del commercio culturale, dei servizi turistici e del ristoro e della piccola ricettività turistica. Anche quei soldi sono stati destinati al buco nero della sanità regionale.