Conventi senza frati Cappuccini e le celle diventano alberghi

Gennaio 26, 2009 by admin
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Crisi di vocazioni e mutamenti sociali fanno sparire i monasteri dei Cappuccini
Gli edifici sono antichi e fanno gola agli imprenditori, a volte diventano complessi di lusso

 

dal nostro inviato JENNER MELETTI
MODENA - “Pace e bene” e, purtroppo, cemento armato. Resta solo il ricordo, dell’antico convento dei frati Cappuccini di via Ganaceto, quasi tutto sepolto dal cemento di “appartamenti, uffici, negozi con finiture di pregio”. Il convitto dove hanno studiato generazioni di ragazzi che arrivavano dalla Bassa e dalla montagna e il grande orto che riforniva la mensa dei frati non esistono più. Trenta appartamenti di lusso, al loro posto, più un direzionale con negozi e uffici. Tutto il convento - costruito nel 1574 - è stato comprato da una società che è stata chiamata, forse con ironia, San Francesco Srl.

“Complesso ex Cappuccini”, annunciano i grandi cartelli colorati, invitando i clienti a prenotare queste case di lusso, silenziose, in centro storico. San Francesco, il fondatore, dovrebbe benedire questa operazione immobiliare. I Cappuccini non possono protestare. Erano pochi e troppo anziani. Non ce la facevano più a gestire il convento. Come i loro confratelli, in tante città italiane, si sono ritirati nelle infermerie - così vengono chiamate le case di riposo dei frati - delle Curie provinciali, o si sono uniti ai fratelli di altri conventi. Ai tempi del Concilio Vaticano II (negli anni Sessanta) in Italia c’erano più di 5.500 frati Cappuccini. Nel 1997 erano 2.871. L’ultimo censimento, nel 2007, ha contato 2.466 frati. E così le antiche celle, i chiostri, gli orti e i giardini rischiano di essere trasformati in hotel, appartamenti, bed and breakfast e agriturismi.

“Per noi - dice padre Dino Dozzi, direttore del Messaggero Cappuccino e docente di Sacra Scrittura - lasciare un convento è un trauma. Non ci sono solo pietre, ci sono 300 o 400 anni di storia. I conventi sono le nostre case ma sono stati costruiti con le offerte della gente. Ancora oggi noi frati, che non riceviamo nulla dall’8 per mille, viviamo della carità del popolo. Lasciare un convento vuol dire abbandonare la casa che la gente ci ha costruito. Questo ci fa stare male, ma non possiamo fare altro. Quando, nel 1955, io sono entrato, a 10 anni, nel seminario Serafico di Imola c’erano altri cento seminaristi. Ora non si prendono più bambini, ma nel noviziato di Santarcangelo di Romagna, dove studiano i novizi di Emilia Romagna, Piemonte e Liguria, in media ci sono due nuovi arrivi all’anno. Come possiamo continuare a gestire conventi, parrocchie e anche l’assistenza spirituale in tanti ospedali?”.


I seguaci di fra Cristoforo e padre Pio stanno vivendo momenti difficili. “Siamo cambiati noi - dice padre Dozzi - ed è cambiata soprattutto la società. Noi siamo stati chiamati “i frati del popolo” perché abbiamo sempre vissuto in mezzo alla gente. C’erano i frati questuanti, che non erano sacerdoti ma bellissime figure, semplici e buone. Bussavano a tutte le case di campagna, alla ricerca di uova, formaggio, uva, noci per la mensa del convento. I poveri si toglievano il pane di bocca, per aiutarci. Se il questuante non si presentava le famiglie si preoccupavano, andavano a cercarlo. E il frate parlava in dialetto, si fermava a dormire nella stalla, giocava a carte con i contadini”.

Lo storico Paolo Prodi, che ha curato “La storia dei Cappuccini in Emilia Romagna”, ha scritto che la gente di campagna vedeva i Cappuccini come alternativa all’istituzione clericale. “Ora quasi tutti i frati sono sacerdoti, e il ministero è diverso - continua padre Dozzi -. Solo a Imola fra Vittore Casalboni, un frate grande e grosso, continua la questua con un camioncino. Raccoglie vestiti e scarpe, vecchie lavatrici, frigoriferi. Una volta all’anno organizza un campo di lavoro, con 150 giovani che arrivano da tutta Europa, per aggiustare ogni cosa, venderla e raccogliere soldi per le nostre missioni. Ma è rimasto solo lui. Intorno a noi il mondo è cambiato: chi aprirebbe oggi la sua porta blindata a un frate questuante? Tutti chiusi a doppia mandata, e non si sa chi sia più prigioniero, fra chi è fuori e chi è dentro”.

In soli cinque anni, dal 2003 al 2007, sono stati abbandonati 33 conventi. A Parma è stato chiuso quello di borgo Santa Caterina, con affreschi del Guercino. “La chiesa è stata donata alla diocesi - dice padre Paolo Grasselli, ministro provinciale dell’Emilia Romagna - e parte dell’edificio è stato venduto ai privati. Dovevamo scegliere fra il convento e l’assistenza all’ospedale. Abbiamo scelto il conforto ai malati”. A Lugnano di Teverina il convento cappuccino del 1579 è diventato una Casa per ferie, “luogo ideale anche per banchetti e ricevimenti”. E L’antica chiesa “è a disposizione per la meditazione personale e per i momenti di preghiera”.

La chiesa del Convento ai Cappuccini di Cologne in Franciacorta, già dal 1990, è diventata una sala speciale per convegni e banchetti dell’omonimo hotel e centro benessere. Costruito nel 1569 il convento era chiamato “una poesia scandita nella pietra”. Quattro stelle, camera doppia da 160 a 280 euro a notte. “Vivevano qui venti frati - dice la nuova proprietaria, Rosalba Tonelli - e c’era anche la foresteria per i viandanti. Abbiamo recuperato ogni pietra antica, nel rispetto di chi ha costruito questo luogo. Sembra di vedere ancora i frati che scendono il monte in groppa ai loro asini”. Nell’hotel San Paolo al Convento di Trani, sull’altare della cappella affrescata, trovi le mozzarelle e le brioches della prima colazione.

“La crisi delle vocazioni - dice padre Mariano Steffan, segretario della Conferenza italiana superiori maggiori Cappuccini - ci riporta alle nostre origini. Quando eravamo quasi seimila, ai tempi del Concilio, abbiamo preso in mano parrocchie e altre attività. Ma questo non è il nostro compito. Il Cappuccino deve aiutare le frange deboli della società, come gli anziani, i tossicodipendenti. E deve essere povero fra i poveri, in un momento difficile per tutti. Oggi non basta dare un pane. Dobbiamo costruire una carità che dia dignità alla persona. Certo, il nostro patrimonio fa gola. Anche una società americana ci ha contattato per comprare conventi e trasformarli in alberghi di lusso. Non abbiamo accettato”.

La San Francesco Srl di Modena è proprietaria anche della parte più antica del convento e della chiesa di Santa Croce. Dove c’erano le prime celle dei frati ora ci sono gli uffici di Emilia Romagna Teatri (e il Comune paga l’affitto ai nuovi proprietari). In uso gratuito, invece, la chiesa “con grande altare maggiore in legno, secolo XVII e presepe di scagliola dipinta”. Così padre Francesco Massari, Cappuccino, una volta la settimana, la domenica alle 11,30 può arrivare da Vignola e celebrare la messa. Forse anche il rito domenicale potrà essere inserito fra le “finiture di pregio” promesse ai nuovi abitanti del convento.

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