NAPOLI ANNO ZERO…….
Germania,Anno Zero….
Dunque ,amici lettori,“vorrei ..parlare con voi tra dieci anni.. Se allora,come purtroppo devo temere per tutta una serie di motivi,sarà sopravvenuta da lungo tempo l’epoca della reazione;se di ciò che certamente molti di voi e anch’io,come dichiaro apertamente,abbiamo desiderato e sperato,si sarà realizzato poco,forse non proprio nulla,ma almeno apparentemente qualcosa – è assai probabile che ciò non mi lascerà affranto,ma saperlo costituisce certamente un peso interiore - allora mi piacerebbe davvero vedere che cosa ne è stato di quelli di voi che adesso si sentono autentici “politici…” e partecipano all’ubriacatura che questa rivoluzione rappresenta.
(NAPOLI ANNO ZERO,Edizioni Intramoenia)
Leoluca Orlando: Analisi nazionale post elezioni europee(clicca qui)
Abbiamo bisogno, in una parola,
di affermare il principio di liberta’
per evitare cha
la libertà diventi arbitrio
o libertà del più forte.
Leoluca Orlando
Leoluca Orlando Analisi nazionale post elezioni europee
Da: Orlandochannel ………
Roberto Saviano - Rassegna Stampa - Il coraggio dimenticato
-fonte-
• da La Repubblica –
Chi racconta che l´arrivo dei migranti sui barconi porta valanghe di criminali, chi racconta che incrementa violenza e degrado, sta dimenticando forse due episodi recentissimi ed estremamente significativi, che sono entrati nella storia della nostra Repubblica.
Le due più importanti rivolte spontanee contro le mafie, in Italia, non sono partite da italiani ma da africani.
In dieci anni è successo soltanto due volte che vi fossero, sull´onda dello sdegno e della fine della sopportazione, manifestazioni di piazza non organizzate da associazioni, sindacati, senza pullman e partiti. .
Manifestazioni spontanee.
E sono stati africani a farle.
A Castelvolturno, il 19 settembre 2008, dopo la strage a opera della camorra in cui vengono uccisi sei immigrati africani.
Le vittime sono tutte giovanissime, il più anziano tra loro ha poco più di trent´anni, sale la rabbia e scoppia una rivolta davanti al luogo del massacro.
La rivolta fa arrivare telecamere da ogni parte del mondo e le immagini che vengono trasmesse sono quelle di un intero popolo che ferma tutto per chiedere attenzione e giustizia.
Nei sei mesi precedenti, la camorra aveva ucciso un numero impressionante di innocenti italiani.
Ma nulla.
Nessuna protesta.
Nessuna rimostranza.
Nessun italiano scende in strada.
I pochi indignati, e tutti confinati sul piano locale, si sentono sempre più soli e senza forze.
Ma questa solitudine finalmente si rompe quando, la mattina del 19, centinaia e centinaia di donne e uomini africani occupano le strade e gridano in faccia agli italiani la loro indignazione.
Succedono incidenti. Il giorno dopo, gli africani, si faranno carico loro stessi di riparare ai danni provocati.
L´obiettivo era attirare attenzione e dire: “Non osate mai più″. Contro poche persone si può ogni tipo di violenza, ma contro un intera popolazione schierata, no.
E poi a Rosarno.
In provincia di Reggio Calabria, uno dei tanti paesini del Sud Italia a economia prevalentemente agricola che sembrano marchiati da un sottosviluppo cronico e le cui cosche, in questo caso le ´ndrine, fatturano cifre paragonabili al Pil del paese.
La cosca Pesce-Bellocco di Rosarno aveva deciso di riciclare il danaro della coca nell´edilizia in Belgio, a Bruxelles, dove per la presenza delle attività del Parlamento Europeo le case stavano vertiginosamente aumentando di prezzo.
L´egemonia sul territorio è totale, ma il 12 dicembre 2008, due lavoratori ivoriani vengono feriti, uno dei due è in gravissime condizioni.
La sera stessa, centinaia di stranieri – anche loro, come i ragazzi feriti, impiegati e sfruttati nei campi – si radunano per protestare. I politici intervengono, fanno promesse, ma da allora poco è cambiato. Inaspettatamente, però, il 14 di dicembre, ovvero a due soli giorni dall´aggressione, il colpevole viene arrestato e il movente risulta essere violenza a scopo estorsivo nei riguardi della comunità degli africani.
La popolazione in piazza a Rosarno, contro la presenza della ´ndrangheta che domina come per diritto naturale, non era mai accaduto negli anni precedenti.
Eppure, proprio in quel paese, una parte della società, storicamente, aveva sempre avuto il coraggio di resistere.
Ne fu esempio Peppe Valarioti, che in piazza disse: «Non ci piegheremo», riferendosi al caso in cui avesse vinto le elezioni comunali.
E quando accadde fu ucciso.
Dopo di allora il silenzio è calato nelle strade calabresi. Nessuno si ribella. Solo gli africani lo fanno. E facendolo difendono la cittadinanza per tutti i calabresi, per tutti gli italiani.
Per il pubblico internazionale risulta davvero difficile spiegarsi questo generale senso di criminalizzazione verso i migranti. Fatto poi da un paese, l´Italia, che ha esportato mafia in ogni angolo della terra.
Che hanno fatto sviluppare il commercio della coca in Sudamerica con i loro investimenti, che hanno messo a punto, con le cinque famiglie mafiose italiane newyorkesi, una sorta di educazione mafiosa all´estero.
Oggi, come le indagini dell´Fbi e della Dea dimostrano, chiunque voglia fare attività economico-criminali a New York che siano kosovari o giamaicani, georgiani o indiani devono necessariamente mediare con le famiglie italiane, che hanno perso prestigio ma non rispetto.
Le mafie straniere in Italia ci sono e sono fortissime ma sono alleate di quelle italiane. Non esiste loro potere senza il consenso e la speculazione dei gruppi italiani. Basta leggere le inchieste per capire come arrivano i boss stranieri in Italia. Arrivano in aereo da Lagos o da Leopoli. Dalla Nigeria, dall´Ucraina dalla Bielorussia.
Le inchieste più importanti come quella denominata Linus e fatta dai pm Giovanni Conzo e Paolo Itri della Procura di Napoli sulla mafia nigeriana dimostrano che i narcos nigeriani non arrivano sui barconi ma per aereo.
Persino i disperati che per pagarsi un viaggio e avere liquidità appena atterrano trasportano in pancia ovuli di coca.
Anche loro non arrivano sui barconi. Mai.
Quando si generalizza, si fa il favore delle mafie.
Loro vivono di questa generalizzazione.
Vogliono essere gli unici partner. Se tutti gli immigrati diventano criminali, le bande criminali riusciranno a sentirsi come i loro rappresentanti e non ci sarà documento o arrivo che non sia gestito da loro.
La mafia ucraina monopolizza il mercato delle badanti e degli operai edili, i nigeriani della prostituzione e della distribuzione della coca, i bulgari dell´eroina, i furti di auto di romeni e moldavi. Ma questi sono una parte minuscola delle loro comunità e sono allevate dalla criminalità italiana.
Avere un atteggiamento di chiusura e criminalizzazione aiuta le organizzazioni mafiose perché si costringe ogni migrante a relazionarsi alle mafie se da loro soltanto dipendono i documenti, le abitazioni, persino gli annunci sui giornali e l´assistenza legale.
E non si tratta di interpretare il ruolo delle “anime belle”, come direbbe qualcuno, ma di analizzare come le mafie italiane sfruttino ogni debolezza delle comunità migranti.
Meno queste vengono protette dallo Stato, più divengono a loro disposizione. Il paese in cui è bello riconoscersi – insegna Altiero Spinelli padre del pensiero europeo – è quello fatto di comportamenti non di monumenti. Io so che quella parte d´Italia che si è in questi anni comportata capendo e accogliendo, è quella parte che vede nei migranti nuove speranze e nuove forze per cambiare ciò che qui non siamo riusciti a mutare.
L´Italia in cui è bello riconoscersi e che porta in sé la memoria delle persecuzioni dei propri migranti e non permetterà che questo riaccada sulla propria terra.
RIFIUTI:TOMMASO SODANO, PAROLE PM DE CHIARA MI LASCIANO ATTONITO
MESSA IN DISCUSSIONE L’AUTONOMIA DEL POTERE GIUDIZIARIO
NAPOLI
- “Dopo aver assistito all’inaugurazione in pompa magna dell’inceneritore di Acerra, alla presenza del procuratore di Napoli Giandomenico Lepore, dove i vertici dell’Impregilo inquisiti sono stati definiti dal capo del Governo, Berlusconi, ‘eroi, ostacolati da qualcuno che pero’ hanno tenuto durò, adesso le parole del procuratore aggiunto De Chiara ci lasciano attoniti”.
Lo afferma il candidato alla presidenza della Provincia di Napoli, Tommaso Sodano.
“La lettera del procuratore aggiunto Aldo De Chiara al Csm - spiega Sodano - che amaramente chiarisce le motivazioni del superprocuratore sullo stralcio delle posizioni del prefetto Alessandro Pansa e dei commissari ai rifiuti Guido Bertolaso e Corrado Catenacci (’per non ostacolare il Governò, ‘per non turbare un esecutivo impegnato nella risoluzione dell’emergenza rifiutì) ci lascia attoniti - attacca Sodano -. Parole, quelle di De Chiara, che mettono in discussione, in Campania, l’autonomia del potere giudiziario rispetto alla politica e l’obbligatorietà dell’azione penale.
Siamo all’emergenza democratica”. “In una regione ad alta concentrazione di reati camorristici - osserva Sodano - e in cui fioccano inchieste sulla pubblica amministrazione che hanno evidenziato l’intreccio politico - camorristico - imprenditoriale, l’inchiesta ‘Rompiballe’ - spiega Sodano - sta evidenziando la piena consapevolezza dell’illegalità nelle istituzioni pubbliche e nelle imprese private impiegate nel trattamento dei rifiuti in Campania. Solo adesso, dunque, sta venendo a galla tutta la verità sul disastro ambientale di Acerra e nelle cave di Chiaiano”.
fonte-ANSA - NAPOLI, 10 MAG -
Regione, intesa col Fondo europeo per spendere rapidamente 90 milioni
da la Repubblica Napoli, 10-05-2009
NOVANTA milioni da investire, in collaborazione con il Fondo europeo per gli investimenti (Fei) della Banca Europea (Bei). Verranno trattati nell´ambito di un progetto denominato “Jeremie”, sottoscritto dalla Regione, per velocizzare l´accesso alle risorse europee da parte degli attori locali della sviluppo. Ottanta milioni sono per le attività produttive, dieci per le politiche sociali.
Altri 8 milioni sono stanziati dalla Regione per il piano esecutivo degli investimenti su opere pubbliche, presentato dal neoassessore Oberdan Forlenza. Ci saranno contributi per l´ammortamento di mutui, per progettazione e realizzazione di opere pubbliche, per ammodernamento di scuole e impianti sportivi. Seguirà un bando pubblico, con una preferenzialità per interventi di contenimento energetico e eliminazione delle barriere architettoniche. Infine la Regione è diventata anche socio fondativo dell´Eacp, una partnership europea sull´aerospaziale nata qualche giorno fa a Amburgo.
Centrale biomasse Pignataro, 23 arresti indagato l’assessore regionale Cozzolino
Il vero significato del 25 aprile
Salve amici cari, secondo voi ha davvero ancora senso, nell’Italia del bipolarismo e dei partiti post-ideologici, celebrare come festa nazionale il 25 aprile?
Ha senso, ogni anno, in prossimità di questa ricorrenza, assistere a dibattiti che la caricano di significati politici atti più ad alimentare le divisioni che non a porre l’accento sui valori, ormai interiorizzati nella maggioranza del paese, di libertà e democrazia? Non si tratta di domande retoriche o provocatorie. Le feste nazionali sono ricorrenze che dovrebbero sottolineare, attraverso la solennità dei rituali, i momenti fondanti e unificanti della storia del paese. Sono occasioni per ricordare il senso dell’appartenenza dei cittadini a una sola comunità nazionale. E poco importa che il presidente della Repubblica ricordi che “non è una festa di una parte sola”. Fiato sprecato…
In Italia c’è qualcuno che sabato, 64° anniversario della Liberazione, dovrà tenersi a distanza dalla piazza. Il primo della lista è ovviamente il premier Silvio Berlusconi. Il segretario Pd Dario Franceschini lo ha invitato a dire «parole chiare e inequivocabili sui valori della Resistenza, dell’antifascismo e della Costituzione». Un passo necessario visto che, come spiega Antonio Di Pietro, «a lui non gliene frega proprio niente. Fa e dice tutto questo solo perché è in campagna elettorale». Ancora più netto il giudizio di Paolo Cento (oggi militante sotto le insegne di Sinistra e Libertà): «Sarebbe del tutto inaccettabile la sua presenza durante la celebrazione di questa data storica». Mentre David Sassoli, fresco di candidatura alle europee con il Pd, ha già imparato la lezione: «Berlusconi bisogna sempre invitarlo a fare qualcosa, invece a noi viene spontaneo ricordare che il 25 aprile è un giorno importante». Eccolo qua il problema. Noi e loro. Altro che festa di tutti. Sembra di essere nel 1945. Da una parte i vincitori, dall’altra i vinti che, ovviamente, rappresentano ancora un pericolo per la democrazia. Soprattutto ora che sono al governo. Ma andiamo a qualche anno fa: il 25 aprile di tre anni fa quando l’allora ministro dell’Istruzione Letizia Moratti, candidato sindaco nel capoluogo lombardo, partecipò al corteo con il padre, ex deportato a Dachau, in carrozzella. Fu accolta con fischi e urla. E non le andò meglio l’anno successivo quando, in qualità di primo cittadino, salì sul palco di piazza Duomo. Forse anche per questo, quest’anno, non ha ancora fatto sapere se parteciperà o meno al corteo. Così come non ha ancora sciolto la riserva il governatore lombardo Roberto Formigoni, che però ricorda il 25 aprile del 1995 quando, «a pochi giorni dall’insediamento come presidente della Regione Lombardia, fui oggetto di attacchi e insulti». Gli stessi che nel 2002 ricevette, a Bologna, il sindaco Giorgio Guazzaloca. «Fischi sacrosanti» commentarono i Verdi Paolo Cento e Mauro Bulgarelli. Napolitano avrà anche a ragione a dire che «non è una festa di una parte sola», ma a sinistra la pensano un po’ diversamente.
La festività civile del 25 aprile fu introdotta in Italia con una precisa valenza politica e simbolica. La propose ad Alcide De Gasperi nel 1946 il comunista Giorgio Amendola, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Lo scopo era, al di là delle dichiarazioni ufficiali, al tempo stesso quello di esaltare il ruolo del Cln del Nord nella liberazione del paese e quello di accreditarne i componenti, a cominciare dai comunisti, come legittimi costruttori della nuova Italia e come depositari dei valori di libertà e democrazia.
Era la consacrazione del mito di una “unità della Resistenza” egemonizzata dal partito comunista: una visione che, di fatto, relegava in secondo piano il generoso contributo alla lotta contro il fascismo da parte di settori del Paese che non si riconoscevano nella bandiera rossa e nel progetto di Palmiro Togliatti di «democrazia progressiva». E questo, a ben vedere, era e rimane il vizio d’origine della festività. Dopo l’esclusione di comunisti e socialisti dal governo, le celebrazioni della ricorrenza assunsero un carattere paradossale: le manifestazioni ufficiali promosse nello spirito della riaffermazione dell’identità nazionale trovarono un contraltare in quelle inneggianti al «tradimento» della Resistenza e dei suoi valori.
Le piazze dei 25 aprile si riempivano di bandiere rosse più che di tricolori. E ciò proprio mentre il trascorrere del tempo rendeva più saldi, nel sentire comune degli italiani e nella profondità delle loro coscienze, al di là dell’appartenenza all’uno o all’altro partito, i sentimenti di adesione ai principi liberali e democratici. Adesso molta acqua è passata sotto i ponti e il sistema politico è profondamente cambiato. Le forze che vollero la ricorrenza del 25 aprile come simbolo dell’«unità antifascista» e quelle che la contestavano in nome di una improponibile fedeltà a un passato morto e sepolto sono scomparse o ridotte a elementi residuali.
Le nuove generazioni di italiani sono estranee (grazie al cielo!) alle memorie contrapposte. La loro adesione alla liberaldemocrazia è priva di remore. Berlusconi tenga presente questo fatto nel valutare la proposta di Franceschini di prendere parte alle manifestazioni celebrative. In ogni caso, l’auspicio è che quella del 25 aprile sia percepita non più come una festa dell’«unità antifascista» ma come una celebrazione dei valori di libertà e democrazia. Se così non fosse - e si ritorna alla domanda iniziale - ha ancora un senso il 25 aprile?
Berlusconi e Fini vs Santoro e Annozero: «Ha speculato sulla tragedia»
Statali, spunta il blocco delle liquidazioni per chi ha 40 anni di contributi
ROMA (3 aprile) - Obbligati ad andare subito in pensione, e per di più senza liquidazione. E’ il destino che potrebbe toccare almeno 100 mila dipendenti pubblici che hanno raggiunto i 40 anni di contributi. Il governo aveva già stabilito, con un decreto tuttora in vigore, che da quest’anno le amministrazioni possono mandare a riposo i loro dipendenti più anziani, volenti o nolenti. Quella norma però era stata successivamente corretta dal Parlamento, che ne aveva limitato la portata: il limite di 40 anni – si specificava con questa modifica – va inteso come numero di anni effettivamente lavorati, senza includere nel conto i contributi figurativi (come gli anni della laurea o del servizio militare). In questo modo la platea degli interessati è stata ridotta notevolmente. Adesso però il governo torna alla carica. Presentando un altro articolo di legge, che stabilisce due cose. Primo, che per il calcolo dei 40 anni si deve tornare al meccanismo iniziale, dunque può essere mandato in pensione anche chi supera la soglia solo per via dei contributi figurativi. Secondo, che tutti quanti i prepensionati in questione dovranno aspettare qualche anno prima di vedere la buonuscita (così si chiama la liquidazione nel pubblico impiego).
L’articolo bocciato. Questo articolo è stato presentato all’interno di un testo in via di approvazione in questi giorni a Montecitorio. Per la precisione all’interno del decreto anticrisi, quello che prevede aiuti e incentivi per le industrie. Fra le tante righe del maxiemendamento scritto dal governo, c’era anche un articolo 5 ter dedicato appunto ai dipendenti da mandare in pensione. Questo articolo tuttavia non potrà essere votato, essendo stato respinto dal presidente della Camera Gianfranco Fini,perché estraneo alla materia del decreto: che c’entra il pensionamento dei dipendenti pubblici con gli incentivi alle auto? Tutto lascia pensare però che l’articolo sarà presto ripresentato in qualche altra forma. Anche perché non si tratta del primo tentativo: già a gennaio era stata scritta la bozza di una misura analoga che il Consiglio dei ministri avrebbe dovuto approvare per decreto, ma poi l’iniziativa è stata rinviata.
I risparmi e le liquidazioni. La vera novità di questo emendamento (per ora) sfumato sta nel rinvio delle liquidazioni. Chi viene mandato in pensione per raggiunti limiti d’età contributiva non vedrebbe un euro prima del 2013. Il provvedimento ha una sua logica: solo così i prepensionamenti portano allo Stato qualche risparmio reale. Mandando a casa un dipendente pubblico non si ottengono grandi riduzioni di spesa, visto che a quel dipendente lo Stato continuerà a pagare la pensione. Anzi, il primo anno si avrebbe persino un aggravio delle uscite, per via appunto delle liquidazioni. Ecco perché qualcuno al ministero dell’Economia ha pensato al congelamento delle buonuscite. Solo in questo modo si raggiune l’obiettivo di risparmiare, ovviamente a condizione che il dipendente prepensionato non venga sostituito con una nuova assunzione.
Gli interessati. Le persone che si vedrebbero bloccare la liquidazione sono tantissime. Il presidente dell’Inpdap ha calcolato che nel solo 2009 i dipendenti che potrebbero andare in pensione forzata avendo raggiunto i 40 anni di contributi sono 60-70 mila. E la norma avrebbe effetto anche nei prossimi anni. Si può dunque stimare che gli interessati siano almeno 100 mila persone, forse 200 mila.
I sindacati. L’iniziativa sulle liquidazioni è stata denunciata ieri dalla Cgil, che ha invitato Renato Schifani a respingere, come ha fatto Fini, un eventuale nuovo emendamento qualora venisse presentato al Senato. Il segretario della Cgil-Funzione pubblica Carlo Podda definisce questa norma “un’ingiustizia incommentabile”. Per la Cisl il segretario confederale Gianni Baratta parla di “una misura inaccettabile” ed elogia Fini per averla rigettata.
fonte: ilmattino
Fini: «Il Pdl sarà un partito unitario ma senza un pensiero unico»
SECONDO GIORNO DEL CONGRESSO. Gasparri: Mettiamo la benzina del Presidenzialismo»
Berlusconi: «Grazie a voi arriviamo a un traguardo storico»
ROMA - Il presidente della Camera e leader di An, Gianfranco Fini, ha preso la parola al congresso del partito, l’ultimo, prima di confluire nel Pdl. L’ha rioconosciuto subito: «Un po’ di emozione c’è». Il suo ingresso alla Fiera di Roma, mentre stava parlando Gasparri, era stato salutato dall platea che lo aveva applaudito a lungo. «Segretario del Msi e poi presidente di An e ora presidente della Camera». Gianfranco Fini, prendendo la parola al congresso di An, spiega subito che il suo ruolo lo deve «all’impegno, alla dedizione, al sacrificio» di «chi per tanti anni ha dato tutto e non chiedere nulla». «Avverto - dice - il dovere di dire grazie per chi in ogni parte di Italia ha sempre tenuto la schiena dritta e ha avuto un grande amore per la propria terra». «Si chiude una fase della destra - spiega Fini -, non c’è stato nessun regalo, non c’è stato nessuno sdoganamento, non si sdoganano le idee. Le idee si affermano», ha aggiunto Fini.
I PUNTI FERMI - Il presidente della Camera nel suo intervento ha toccato tutti i temi cche devono appartenere al nuovo partito. La linea politica: «Il Pdl non sarà un partito di destra, ma la destra sarà un valore di quel partito». «Si a una partito unitario ma no al pensiero unico». Istituzionale: «Il presidenzialismo non può essere un Parlamento messo in un angolo, al quale si chiede di non disturbare il manovratore». Ma anche «è finito il tempo del Bicameralismo perfetto». E ancora le sfide al futuro: «La nostra sarà una società multietnica e con l’immigrazione non serve mostrare i muscoli». C’è anche un accenno netto alla laicità dello Stato, quasi in risposta all’intervento di Berlusconi del giorno prima sul sotegno al Papa e alla Chiesa: «La laicità È un valore del Ppe, che ha smesso da tempo di essere un partito democristiano. Questo non significa negare il magistero della Chiesa o ignorare la dimensione della religione, ma collocare la religione nella sfera personale e privata e non in quella pubblica». Le ultime parole dell’intervento: «Oggi finisce An, nasce il Pdl, continua il nostro amore per l’Italia». Poi la commozione e il saluto di tutti i dirigenti di An sul palco. An si scioglie, il suo statuto non ha più valore. Nasce invece una fondazione al quale viene trasferito il simbolo del partito. La decisione è stata presa dal congresso nazionale del partito che ha approvato all’unanimità la mozione letta dal reggente Ignazio la Russa.
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fonte: corriere della sera