Di Oscar Giannino –Rassegna Stampa - Per la tregua al Sud non bastano i fondi
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Il mattino-
Si usa dire che la politica sia l’arte del possibile. Quando si deve riparare a una condizione inaspettata, ciò che fino al giorno prima veniva escluso a priori in politica può diventare invece la via maestra per risolvere un problema. È di questo tipo, il dilemma con il quale Berlusconi, Tremonti e Bossi saranno alle prese in queste settimane di agosto.
Perché la nascita di un gruppo a Montecitorio che si rifà al presidente della Camera Fini, e che numericamente è tale da impedire al centrodestra di poter contare su una maggioranza politica in sua assenza, obbliga premier, Pdl e Lega a immaginare proprio ciò che sembrava impensabile, nelle prime ore successive al fatto e nell’incandescenza del dibattito sulla sfiducia al sottosegretario Caliendo.
E cioè proporre al leader di Futuro e Libertà un vero e proprio patto di legislatura, trattandone con rispetto e precisione argomenti e strumenti attuativi.
Solo nel caso in cui i finiani rispondessero picche o assumessero toni provocatori prima ancora di sedersi al tavolo, la richiesta di elezioni anticipate potrebbe risultare meno “marziana” alle orecchie del Quirinale.
È una partita difficile, visto il carico di diffidenze incrociate a cominciare dal rapporto diretto tra Berlusconi e Fini, per non parlare dei rispettivi luogotenenti.
Ma è una partita obbligata.
Tanto che già circolano come indiscrezioni, i capitoli generali dell’accordo per consentire alla legislatura di continuare a rispettare il mandato attribuito dagli elettori ad aprile 2008.
Il primo è molto scivoloso, la giustizia che molto preme al premier, ma che con il ddl intercettazioni era finito su un binario morto rispetto alla riforma dell’ordinamento.
Il secondo è il federalismo, che per la Lega è assai più di un mero punto tra gli altri, è la ragione stessa costitutiva dell’alleanza con Berlusconi.
Il terzo è il fisco e la finanza pubblica, che devono restare su un binario stretto: una rotaia dritta agli impegni di contenimento del deficit già assunti e apprezzati dall’Europa, l’altra coerente all’impegno assunto dal 1994 di abbassare le imposte su imprese e lavoro, attraverso un’organica riforma generale del sistema tributario.
Ma è il quarto punto, quello sul quale Berlusconi, Bossi e Tremonti sono chiamati a uno sforzo aggiuntivo, rispetto alla moderazione dei toni e alla precisione chirurgica necessarie sugli altri tre.
Il quarto punto è il Mezzogiorno.
Ed è proprio sul Mezzogiorno, che Fini e Futuro e Libertà puntano le carte politicamente più promettenti della propria strategia: sia essa nel centrodestra se ve ne saranno ancora le condizioni, oppure fuori e con una diversa alleanza da proporre agli elettori, se la coesistenza con Berlusconi dovesse risultare impraticabile.
Il Sud è l’asso che Fini ritiene di avere nella manica non solo perché il più dei suoi è elettoralmente radicato nel Mezzogiorno, dove alle Regionali il centrodestra ha conquistato Campania e Calabria.
Ma perché tutti i sondaggi mostrano che l’elettorato del Sud è convinto a grandi numeri che davvero sinora nell’agenda del governo Berlusconi sia stata sin qui preminente l’attuazione di un federalismo in chiave di vantaggio nordista.
Non ha importanza che i numeri concreti manchino ancora nel decreti delegati, per stabilire i costi standard per Regioni Province e Comuni.
Nei sondaggi quel che conta è che il Sud mostra di dare non poco credito e seguito, a chi afferma che Berlusconi, Bossi e Tremonti siano una trinità antimeridionalista.
Di conseguenza il capitolo del Mezzogiorno potrebbe risultare davvero quello decisivo, per un’intesa di mezza legislatura capace di dare vita aggiuntiva e operativa al governo.
Se questo è vero, significa però che potrebbero non bastare, i numeri molto importanti che in questi giorni circolano a proposito delle risorse che il governo riorienterebbe verso il Mezzogiorno.
Le cifre sono infatti fin troppo impressionanti, visto che sommando i residui dei fondi di coesione e strutturali europei 2000-06, quelli - la parte preminente, per le Regioni - ancora non spesi del quadro 2007-013, nonché i fondi FAS fin qui non ancora drenati dal governo, si arriva addirittura agli 80 miliardi di euro.
E’ il ministro Fitto che alacremente, da qualche settimana, è subentrato allo Sviluppo economico nel tentativo di stabilire una cabina di regia per questi fondi entro fine settembre a palazzo Chigi. Sono risorse “impressionanti” perché il problema di sempre, al Sud, non è quello delle risorse come si crede, quanto di saperle spendere davvero, in tempi rapidi e con procedure “sorvegliate”, concentrandole su opere infrastrutturali e interventi davvero prioritari e non sparpagliandole assistenzialmente a pioggia.
A questo si riferiva Tremonti, quando, rivolgendosi agli amministratori locali meridionali, si lasciò sfuggire di bocca quel “cialtroni” che Fini ha considerato benzina per il suo motore.
Ma per un patto solido con Fini e i suoi non è solo e tanto l’ammontare delle risorse, a poter fare la differenza.
Per Berlusconi, Bossi e Tremonti - e Fitto, naturalmente - ciò che sino a ieri era impensabile è che a questi 80 miliardi di risorse che non sono deficit aggiuntivo si debba aggiungere anche qualcosa in più.
E cioè che sia un rappresentante di Futuro e Libertà nel governo, ad assumersi direttamente la responsabilità dell’attuazione del piano straordinario “risorse per il Sud”, a trattare con le Regioni, e a far da contraltare con tutti i gangli dell’amministrazione centrale competenti a sbloccare le risorse.
È comprensibile che nel Pdl, per il peso dei voti raccolti al Sud a prescindere dall’onorevole Fini, la tentazione di fermarsi all’offerta del piano e delle risorse sia molto forte.
Ma temo la diffidenza sia a un punto tale che solo l’offerta a un finiano di diventare il mister Sud dell’alleanza, equilibrando Calderoli al federalismo e con Tremonti in posizione centrale, potrebbe davvero risultare decisiva nel ridare almeno inizialmente al centrodestra un supplemento di vitalità.