Ho conosciuto il sociologo Pizzuti diversi anni fa attraverso i suoi scritti. Mi colpirono alcuni articoli su “la Repubblica”. Ne rimasi fascinato. Era uno dei pochi, pochissimi, che sapessero parlarmi di quei ragazzi di Scampia, che a scuola cercavo di coinvolgere in una auspicata modifica del loro approccio alla realtà. Seppi che abitava nel quartiere e che era un gesuita. “Le due Napoli”, Introduzione e cura di L: Pirillo, Giannini Editore, 2011, raccoglie gran parte dei suoi scritti. Ne viene fuori uno spaccato illuminante della città, pieno di spunti di riflessioni. La città, nella quale lui ci porta, è una città plurale, caratterizzata da scambi di inciviltà trasversali, dove la camorra è un “disvalore aggiunto” rispetto ai tanti problemi irrisolti. Denuncia la presenza di una borghesia camorristica, che interagisce con la camorra con scambi occulti e accordi collusivi, e di un capitalismo criminale che, volente o nolente, per restare sul mercato e sopravvivere economicamente, utilizza modalità corruttive e intimidatorie. Il suo è lo sguardo acuto di chi è capace di scavare in profondità, con occhi scrollati d’ogni velo, e che non si ferma davanti a interessi di parte. Lui, sacerdote, non tace dinanzi ai silenzi della Chiesa sugli episodi di pedofilia al suo interno e spinge perché si faccia chiarezza; si interroga sulla religiosità appariscente, esteriore, senza costrutto morale, cioè senza consequenzialità morale, dei camorristi, e su quel mix di sacro e profano, di religiosità popolare e culti extraliturgici, su quella morfologia del sacro, che pur utilizzando immagini e riti non percepisce l’estraneità del crimine agli insegnamenti della Fede. Non gli sfugge la latitanza dello Stato e delle Istituzioni, incapaci di stare vicini agli “ultimi”, lasciandoli alla mercé della criminalità organizzata, che ne approfitta e ostenta la propria esistenza e potere, riempiendo il quartiere di bandiere e festoni tricolori durante i mondiali, ergendo gigantesche statue del Cristo e di padre Pio e, soprattutto, assistendo materialmente le famiglie dei detenuti nella contingenza delle loro necessità. Si indigna per le misere condizioni dei campi rom, attraversati da pozze di acqua piovana, circondati da cumuli di immondizie, e spesso privi di servizi essenziali. Nei loro confronti, dice, non bastano più le vecchie categorie sociologiche di marginalizzazione, ghettizzazione, segregazione, esclusione, stigmatizzazione. Occorre quella di “distanza sociale”, ovvero di indisponibilità e chiusura relazionale. Nei campi di Scampia, ricorda, si sono succedute due o tre generazioni di rom, anche secolarizzate, parlanti italiano talora con accento napoletano, che pone il problema del riconoscimento della cittadinanza; dopo venticinque anni di permanenza essi non sono più nomadi ma stanziali. Nel suo sguardo non c’è solo la severità del censore, c’è anche la poesia. Quando, ad esempio, descrive queste “donne dalle lunghe gonne con piccoli attaccati al seno, che ogni mattino escono dai campi con i passeggini”. E, soprattutto, quando in una minuta madre ventenne di origine bosniaca con la sua piccola di cinque mesi, vede la “Madonna con la bambina”. O quando si commuove per la presenza mattutina alle rotonde di decine di africani in cerca di lavoro. Il lavoro è un altro suo cruccio. Il lavoro, avverte, qui non è presente nell’immaginario collettivo e nella vita sociale come realtà anche se differita nel tempo. La mancanza di opportunità lavorative per i capofamiglia e le giovani generazioni, insieme all’assenza di servizi di orientamento e di formazione, ha come conseguenza l’affiliazione volontaria o meno ai gruppi della criminalità organizzata. Quasi nessuno timbra i biglietti sui bus, che attraversano il quartiere; e all’entrata della stazione del metrò collinare si vendono a metà prezzo i biglietti della metro raccolti dai passeggeri all’uscita. Piccole forme quotidiane di illegalità che non vengono sanzionate esplicitamente, producendo un affievolirsi del discernimento morale e latitanza di spirito pubblico. “San Precario”, maschera creata dal Gridas, non poteva che nascere qui a Scampia. Padre Pizzuti, però, non si limita all’invettiva; opera concretamente nella cruda realtà del quartiere. È grazie anche a lui, al suo concorso, se nasce l’associazione “Asunen Romalen” che vede insieme rom e persone del luogo impegnate a trovare soluzioni a una pacifica convivenza. Ed è lui, insieme ai suoi fratelli gesuiti, che cerca di salvare dal carcere una minorenne rom accusata ingiustamente di aver tentato di rapire un neonato. Ed è sempre lui, insieme a tante associazioni, a istituire il laboratorio politico “Scampia Felice”, per dare strumenti di partecipazione a chi ne è privo. “Le due Napoli” di Domenico Pizzuti, introduzione e cura di Lucio Pirillo,Giannini editore, è un libro che va letto, che aiuta a comprendere, a non abbandonarsi a mere semplificazioni. P.S. Franco Roberti,Procuratore della Repubblica di Salerno, parla di “Le due Napoli” scritti di Domenico Pizzuti con introduzione e cura di Lucio Pirillo (Giannini editore Napoli 2011) sul BLOG PEPPONE E DON CAMILLO http://www.mondocattoliconapoli.it/blog/?p=777
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