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Perché non ci sono i cattodem e la laicità è il pilastro della politica

 Dopo il voto del Senato, che chiude positivamente la oramai troppo lunga questione delle unioni
civili, vorrei fare una riflessione sul dibattito che ha animato il Pd, partendo dalla consapevolezza
che uno dei pilastri fondanti dell’agire politico, sia la laicità.
Penso che la testata d’angolo su cui si è costruito il Pd sia la laicità. Per questo mi sono allarmato per
la contrapposizione che, in alcuni passaggi, può essere apparsa, tra i sedicenti cattodem e il resto del
Partito.
 
Aldo Moro spiegava la laicità nei termini della legittimazione esclusivamente politica delle scelte
politiche. E consigliava di realizzare la difesa dei principi e i valori cristiani al di fuori delle istituzioni e
delle leggi, e cioè nel vivo, aperto tessuto della nostra vita sociale. «La nostra libera scelta - diceva -,
la nostra scelta meramente politica resta ancorata ad ideali cristiani, da noi interpretati sotto la nostra
esclusiva responsabilità, in vista dell’applicazione socialmente utile che se ne può fare ( ... ) per i grandi
problemi di fondo della nostra comunità nazionale».
 
Questo significa per me che sono cattolico, un progetto di vita coerente con ciò in cui credo, ma non
significa, per me deputato della Repubblica, pensare di imporre il mio modello di vita, con legge dello
Stato, a chi non la pensa come me. E’ una questione semplice, è la storia politica dei cattolici
democratici alla cui cultura io mi sono sempre (ispirato). La differenza è sempre, anche oggi,
la stessa: non tra credenti e non credenti, ma tra clericali e laici.
 
E per clericali si intende coloro che fanno appello al fatto di avere con sé la maggioranza popolare,
per essere legittimati a imporre agli altri con legge la propria particolare visione di vita. Questo vale
per tutti, credenti e non credenti, liberali, cattolici e marxisti. Ricordiamoci l’articolo 2 e 3 della
Costituzione: il compito di uno Stato che voglia rispettare il principio personalista e il principio di
uguaglianza, ed essere uno Stato laico, è quello di regolare in maniera civile e ragionevole le
relazioni tra la maggioranza e le minoranze, favorendo il pluralismo e impedendo di soffocarlo per
legge.
 
Per noi vale il principio di uguaglianza e il principio di ragionevolezza delle leggi, che comprende
profili di logicità, coerenza, adeguatezza, congruità. Noi siamo il Partito democratico. Guai a
smarrire per una debole e improvvisata dialettica interna la nostra forza culturale.
E la nostra responsabilità sta proprio nel saperla esercitare: la politica è laica quando non si riduce
ad applicare soluzioni precostituite, ma si impegna a comporre i frammenti, perché ci si possa
sentire una comunità nazionale in cui è possibile e bello riconoscerci.
 
Allora parlare dei diritti dei bambini ad avere i genitori, anche in una coppia omogenitoriale, non
può essere ridotto ad uno scontro interno al partito, ma deve essere affidato alla nostra capacità di
fare una legge ragionevole, adeguata e congrua con la cultura del Partito democratico. Cosa che ci è
comunque riuscita, e anche bene, ma che avrebbe potuto essere altra, senza le incomprensibili
schermaglie tra improbabili fazioni.
 
di Gianclaudio Bressa
rassegna stampa - l'Unità  del 26 febbraio 2016


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