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napoli chiama napoli
NAPOLI:Democrazia del leader? Meglio dire democrazia senza rete

 Oggi mancano i partiti, ma manca non di meno la volontà e forse lo spazio per coltivare un progetto comunitario. Le attuali modalità di raccolta del consenso appaiono improvvisate, contingenti, strumentali
 
 
di Paolo Macry 
 
 
La democrazia del leader, l’ha chiamata in un saggio molto efficace Mauro Calise, parlando degli sviluppi del sistema politico italiano. Ma avrebbe potuto anche chiamarla: la democrazia senza rete. Napoli ne è un laboratorio significativo. 
 
Qui, democrazia senza rete significa governare senza una rete amministrativa, a causa delle gravi difficoltà nella gestione della “macchina” comunale e dell’incapacità di rapportarsi in modo virtuoso con la “macchina” dello Stato. Un fenomeno del quale, concettualizzazioni a parte, i cittadini fanno concreta esperienza attraverso le innumerevoli crisi e micro-crisi che quotidianamente li investono. 
 
Dalle alte sovrimposte comunali alla bassa qualità dei servizi, dalle baby gang dei bus alla militarizzazione dei guardamacchine, fino alla grottesca policromia dei monumenti restaurati. 
Di chi la colpa? 
Del Municipio, della Questura, della magistratura, delle sovrintendenze. 
Ovvero dello Stato. 
I cui pezzi sembrano incapaci controllare il flusso della vita cittadina e, a monte, indifferenti a una saldatura (che sarebbe essenziale) tra le rispettive funzioni. Sicché l’amministrazione precipita in una sorta di entropia. A Napoli, per esempio, non accenna a placarsi la guerra fra palazzo San Giacomo e palazzo Chigi. In altri tempi la politica si sarebbe molto preoccupata di tessere la trama sfibrata. 
 
Oggi Luigi de Magistris sembra invece farsene un vanto (ma neppure Renzi brilla per iniziative di ricucitura). Forse nessuno dei due coglie la gravità di quello slogan sul Municipio derenzizzato. 
 
 
E però non c’è bisogno di rivangare la storia italiana per capire che una simile disconnessione tra centro e periferia, se non rafforza il centro, di sicuro danneggia pesantemente la periferia. A sua volta, il fallimento amministrativo s’intreccia (causa-effetto e viceversa) con un altro fenomeno: la democrazia senza rete rappresentativa. Si sa che i partiti stanno morendo e nessuno sembra rimpiangerli. 
Dopotutto le colpe si pagano. 
Ma se vent’anni fa, al tempo dei «nuovi sindaci» e dei programmi federalisti, i leader locali cercarono di compensare la crisi politica post-Tangentopoli proponendo la ricostruzione di comunità e identità urbane, oggi mancano i partiti, ma manca non di meno la volontà e forse lo spazio per coltivare un progetto comunitario. 
 
Certo è che le attuali modalità di raccolta del consenso appaiono improvvisate, contingenti, strumentali. De Magistris, nel corso della sua sindacatura, ha corteggiato ed è stato corteggiato dagli imprenditori cittadini. 
Ha tentato e talvolta stipulato accordi con i democrat. 
Ha adulato in mille maniere la sinistra dei movimenti e dei centri sociali. 
Ha fatto proclami che di volta in volta piacevano a Fausto Bertinotti o a Marco Pannella. 
Quanto alla comunità urbana, se ne è atteggiato a difensore più nelle parole che nei fatti. 
Rispondendo alle proteste dei residenti a Chiaia per il dilagare della movida notturna, la demagistrisiana Elena Coccia è arrivata a rinverdire un certo disprezzo d’antan per la borghesia. 
«Non riescono a dormire?», ha chiesto. «Si tappino le orecchie!». Minimi segnali di istituzioni che non costruiscono, ma anzi giocano a dividere sociologicamente e culturalmente il corpo della polis. 
 
Naturalmente la democrazia senza rete non è soltanto un grave problema per la città. 
È anche un pericoloso esercizio di equilibrismo del leader. Dopotutto, la defaillance amministrativa e l’aleatorietà del consenso rischiano di metterlo fuori gioco. 
Il problema di ricucire gli strappi nella rete riguarda insomma l’opinione pubblica, ma anche il sindaco. O chi, nei mesi che ci separano dalle elezioni comunali, dovrà convincere i napoletani del suo buon diritto a prenderne il posto. 
 
 
corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli


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