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il pulpito
La carità è la misura dell’agire politico di ognuno di noi di Bruno Forte

 La carità è la misura dell’agire politico di ognuno di noi
di Bruno Forte
rassegna stampa Il Sole 24 Ore del 23 ottobre 2016
 
Il dibattito sul prossimo referendum riguardante la proposta di riforma costituzionale è entrato nel
vivo e i toni degli interventi, dall’una e dall’altra parte, si sono già così accesi, tanto che il
presidente Mattarella ha sentito il bisogno di richiamare tutti alla moderazione.
Il suo intervento mira a non fare della campagna per il sì o per il no una pura e semplice occasione
di scontro e punta invece a portare l’attenzione sulla posta in gioco. «Nell’avvicinarsi al giorno del
referendum, - ha detto il capo dello Stato parlando all’assemblea dell’Associazione nazionale
Comuni italiani a Bari - è necessario, e sarà necessario dopo il suo risultato, il contributo di tutti,
sereno e vicendevolmente rispettoso. Rispettando anzitutto l’esercizio del voto degli elettori e il loro
libero convincimento… (ognuno) dirà la sua sul merito della riforma e si batterà per ciò che riterrà
opportuno, in un confronto tanto più efficace quanto più composto». A sua volta il presidente della
Conferenza episcopale iItaliana, il card. Angelo Bagnasco, dando voce all’attenzione che i pastori
non possono non avere di fronte a un momento così significativo per la vita del nostro popolo, ha
affermato: «Auspichiamo che le persone si informino, non si accontentino del sentito dire, di
un’opinione o di slogan», ribadendo con forza la necessità che si vada alle urne «con cognizione di
causa che attiene alla coscienza di ognuno». È in questa linea che vorrei collocare questo mio
intervento, inteso a rispondere alla domanda su quali siano i criteri ai quali ispirarsi per una retta
valutazione della proposta su cui esprimersi, lasciando al giudizio di ciascuno l’esame della
conformità o meno ad essi di quanto è oggetto di voto.
Mi soffermo su tre criteri, su cui mi sembra ci sia ampio consenso fra la gente, alla quale come
pastore mi sento naturalmente vicino: l’abbattimento dei costi della politica, lo snellimento delle
procedure legislative e il raggiungimento di condizioni, che garantiscano una maggiore stabilità
politica a un Paese che, dalla proclamazione della Repubblica a oggi, ha conosciuto ben sessanta
governi!
Non è un mistero per nessuno che ci sia attualmente fra gli Italiani una diffusa disaffezione nei
confronti della politica, della quale sono un segnale non solo gli alti tassi di astensione dal voto, ma
anche la crescente simpatia, specialmente fra i giovani e non solo fra essi, verso posizioni critiche
nei riguardi della classe politica e dell’esercizio stesso dell’impegno al servizio della cosa pubblica.
Se questa tendenza può favorire qualunquismo e populismo, essa ha non di meno le sue ragioni
nella distanza sempre più avvertita fra il ruolo dei rappresentanti del popolo eletti a tutela e
promozione dei diritti di tutti e del bene comune, e l’effettiva rappresentanza degli interessi e dei
bisogni più diffusi fra gli elettori e le comunità territoriali, di cui i parlamentari dovrebbero essere
espressione. La distanza fra l’eletto e la gente viene percepita dai più come ampia e inaccettabile.
L’estraneità della classe politica rispetto ai problemi quotidiani di giovani, disoccupati, lavoratori e
pensionati, famiglie e agenzie produttive, risulta largamente avvertita e rischia di fare del tempio
della democrazia, costituito dalle aule di Camera e Senato, contenitori in cui il caldo sangue della
vita non scorre più. Canalizzare questa disaffezione nella protesta può essere facile, ma non basta.
L’esigenza di una riforma che riannodi il rapporto fra i cittadini e i loro rappresentanti, fra la vita
reale con i suoi problemi e ciò su cui si legifera, va assolutamente colmata. L’inefficienza del
sistema attuale, poi, appare tanto più grave quando si considerino i costi della politica: per dare una
sola indicazione, un numero pur esiguo di senatori costa annualmente al Paese quanto e più di un
numero tutt’altro che esiguo di comuni di piccola e media grandezza! Perché pagare tanto e offrire
privilegi e garanzie, pensionistiche e non solo, a chi pare risultare tanto poco efficiente e produttivo
per la crescita del bene comune?
Connessa all’esigenza di una politica più rappresentativa ed efficace, c’è la percezione diffusa di
un’intollerabile lentezza nei procedimenti legislativi: a volte, la cosiddetta “culla”, e cioè il
rimbalzo dei processi decisionali fra le due Camere, ritarda per tempi inverosimili scelte urgenti, e il
bicameralismo perfetto - pensato originariamente come tutela della democrazia - si rivela tutt'altro
che democratico, perché ben poco frutto porta al popolo di cui pur si riconosce teoricamente la
sovranità e il diritto a essere ben governato. Se è vero, come si afferma di fronte a tante lentezze
dell’ordinamento giudiziario, che una giustizia lenta non è più giustizia, si può analogamente
affermare che una politica a passo di tartaruga non è degna delle attese che una democrazia adulta
deve avere nei confronti dei rappresentanti del popolo. Snellire le procedure, abbreviare i tempi
decisionali evitando ripetizioni o eccessivi passaggi, appare una vera urgenza, che a sua volta potrà
essere soddisfatta solo se i governi in carica avranno stabilità ed effettiva possibilità di manovra per
il bene comune. Un sistema che garantisca la certezza della governabilità e della sufficiente durata
di un esecutivo democraticamente eletto, appare auspicabile, pur se il livello di guardia per la tutela
della democrazia non andrà mai abbassato. Conciliare snellimento dell’azione legislativa, stabilità
ed efficacia del governo e garanzie democratiche è la sfida cui la riforma dovrà tener testa. Alla luce
di queste esigenze, che mi sembra avvertire largamente presenti nella società civile, occorrerà
decidere sulle riforme proposte o su altre che potranno venire.


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