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sette giorni
Un antidoto alla paura di Alberto Melloni

 Forse il ritornello della propaganda islamista — quello che promette a chi muore nella battaglia per
Dio un cielo triste sessista, dove le donne sono un premio al guerriero — è scritto così proprio per
ingannare chi adora in sé la Bestia della guerra. Forse, dando per scontato che chi si batte per
l’inerme abbia un premio degno della sua fede, per chi ammazza l’inerme ci deve essere un inferno
senza fiamme: ma una lunga eternità claustrofobica, passata in compagnia di assassini e bombaroli,
l’uno condannato a temere per sempre la vigliaccheria dell’altro. Una affollata e maleodorante
metropolitana, con i colpevoli di piazza Fontana, gli attentatori dei bus e delle sinagoghe, i
bestemmiatori armati del Dio di Abramo. Tutti immobili in una grande paura.
 
 
Delitti come quelli di ieri tentano di far finire anche noi, da vivi, in questo inferno di paura. E per
sfuggirvi non basta un atto volontaristico: come spiegava l’ultimo numero di Le Monde des
religions (uno strumento che l’Italia non ha...) “il Male nel nome di Dio” si combatte col sapere.
Senza un sapere che divarichi le paure e le decisioni, saranno le paure a prendere le decisioni e tutte
le decisioni produrranno paure.
 
Di questo sapere l’Europa colpita a Bruxelles ne ha poco. Tentata dalle identità nazional-muscolari
ad Est e dalla retorica dei valeurs républicaines ad Ovest, essa manca di una conoscenza storicoteologica
che attribuisca alla ricerca (non alla cultura genericamente intesa) un compito civile di
prima linea e lo consegni agli studi, agli insegnanti, alle leggi, come antidoti alla paura.
 
 
Altrimenti la paura ci impedirà di guardare alla nostra storia. L’Europa che conosciamo è uscita
dalle guerre di religione fra cristiani attraverso un percorso storico-teologico di cui ammiriamo oggi
i risultati sbalorditivi, ai quali resiste solo la sacca di violenza, alimentata da opposte mitologie, fra
ortodossi e greco-cattolici in Ucraina. Quel percorso ha prodotto un terreno politico-culturale da cui
la fede non è uscita indebolita, ma migliore. Ed è questa fiducia nel dialogo infra-religioso e fra fedi
e modernità che va incoraggiata anche politicamente, come e anzi più delle cortesie fra capi di fedi,
attraverso tutti gli strumenti a disposizione.
 
 
Se non si combatte la paura, la paura ci impedirà di vedere che la pace religiosa europea non ha
bisogno di astratte formule di integrazione o di improponibili discriminazioni, ma di sapere
incarnato negli insegnanti e nella scuola, come s’è proposta di fare la riforma Renzi- Giannini. Se
no si continueranno a fare errori pacchiani come quello di chiamare “radicali” gli omuncoli
sanguinari, che usano il Corano come fosse cocaina e con gli stessi effetti, e di degradare a
“moderati” coloro che pregano il Dio clemente e misericordioso per assomigliargli, e vengono
esauditi.
 
 
La paura finirà per occultare problemi vistosissimi e facili. Tutti sanno, ad esempio, che il carcere è
un luogo di indottrinamento e di reclutamento per il terrorismo. Da noi gli ostacoli che si
frappongono alla stipula di un’intesa con gli islam impediscono di far entrare qualcuno in prigione
per guidare la preghiera del venerdì. Gli strumenti ci sarebbero. La proposta di creare dei master per
dar modo ad educatori musulmani di aver titolo per insegnare la grande etica e la grande filosofia
morale islamica nella preghiera del venerdì gira da mesi fra molti organi senza che si trovi la
quadra. E venerdì prossimo qualche migliaio di musulmani nelle carceri italiane si sentiranno
spiegare l’attentato di Bruxelles da un detenuto, che non è detto sia in grado di spiegare che i
vigliacchi bombaroli sono i nemici della fede, perché seminano paura.
 
Se però si uscisse dalla paura, come raccomandavano ieri sia Renzi sia Alfano, ci si renderebbe
conto che questo è il momento di pensare una politica del pluralismo religioso e di fare una legge
sulla libertà religiosa che l’Italia non ha. Una legge che non lasci spazio a quella cultura della
rupture che spinge gli aspiranti assassini a presentarsi come un islam “vero” e trova nelle forze
razziste un insperato alleato. Ma una legge che stabilisca senza infingimenti le aggravanti di quei
reati che vanno perseguiti con durezza per proteggere una società pluralista e aperta. Una società
nella quale l’antico sogno italiano della pace religiosa consolidi, con la forza del sapere, la fraternità
fra i cristiani e la conoscenza del percorso che ha reso i popoli delle guerre di religione la terra dei
diritti umani. Una società che possa fecondare col polline del sapere la riconciliazione dentro
l’islam, restituirgli una dignità teologica perduta da oltre un secolo, trasformare le frustrazioni
patogene in ambizioni sociali.
 
rassegna stampa - la Repubblica del 23 marzo 2016


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