«Ho giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo», ha ricordato Matteo Renzi. Con lo stesso
giuramento, però, si è anche impegnato «ad esercitare le sue funzioni nell’interesse esclusivo della
nazione ».
E nazione vuol dire tante forze diverse e tanti settori differenti che trovano la loro unità
in una volontà comune e in un futuro condiviso, come scriveva Ernest Renan. È in questo spirito
che, nel marzo 1947, Alcide De Gasperi intervenne in Assemblea costituente per sostenere che la
Chiesa doveva impegnare i vescovi a giurare fedeltà alla Repubblica e a seguire «la legge
costituzionale dello Stato».
«Non siamo in Italia così solidificati, così cristallizzati nella forma del
regime da poter rinunziare con troppa generosità a simili impegni così solennemente presi ».
Aggiunse però: «alla lealtà della Chiesa io credo che la Repubblica debba rispondere con lealtà».
De Gasperi temeva contraddizioni o conflitti laceranti per la duplice appartenenza del cittadino
credente alla Chiesa e allo Stato e per la sua duplice fedeltà al Vangelo e alla Costituzione. Cercava
perciò — uomo di profonda spiritualità, ma anche con grande senso storico — la conciliazione tra
Chiesa e Stato soprattutto negli impegni concreti degli uomini. Credeva poco, infatti, nei principi
astratti o in compromessi giuridici, cui cedettero invece Pio XI e Mussolini quando stipularono i
Patti Lateranensi nel 1929 e a cui si affidarono ancora Pio XII e Dossetti per confermarli attraverso
l’art. 7 della Costituzione.
Non lo spingeva una logica confessionale in difesa dei principi o degli
interessi cattolici, ma una preoccupazione laica per lo Stato. È il sentimento di fondo che ha
animato l’impegno complessivo dei cattolici nella stesura della Costituzione che, prima ancora di
essere stata un compromesso sulle parole o sulle formule, è stata il frutto di un eccezionale sforzo
costituente animato dall’incontro tra le grandi forze popolari. È questa la preoccupazione che ha
ispirato costituzionalisti cattolici come Mortati e Tosato, loro eredi illustri come Leopoldo Elia, e
che ispira anche oggi tanti cattolici mentre si interrogano sulla riforma costituzionale. Proprio la
larga condivisione del patto costituente, infatti, ha reso per decenni la Costituzione un riferimento
fondamentale per tutti.
Ricordando di aver giurato fedeltà alla Costituzione, Renzi ha risposto a quelli che oggi minacciano
il referendum sulle unioni civili o che vorrebbero bocciare la riforma costituzionale per ritorsione
contro queste unioni. Sono i nostalgici dei “valori non negoziabili”, che nella Chiesa di papa
Francesco hanno perso importanti sponde ecclesiastiche (anche se non tutte). Ma questioni più
profonde vengono oggi sollevate soprattutto da uomini e donne che non sono lontani da Renzi e che
vengono dalla sua stessa tradizione religiosa e culturale. Molti di questi ne apprezzano tante
iniziative e l’orientamento di fondo. Sono però pure preoccupati non solo per questioni di merito —
dal disinteresse per le autonomie locali all’ostilità verso i corpi intermedi — ma anche di metodo. Si
può cambiare profondamente la Costituzione senza un ampio accordo costituente tra forze diverse?
E si può trasformare l’esame di una materia così complessa in un plebiscito pro o contro chi
governa?
La situazione in cui ci troviamo non è stata creata da Renzi, ma dalla logica del bipolarismo
conflittuale di cui Berlusconi è stato il principale benché non unico responsabile. Nella Seconda
Repubblica, la spinta divisiva si è estesa anche sul terreno costituzionale, come mostrano il
fallimento della Commissione bicamerale per le riforme, voluto dal centro-destra (1998); le
modifiche del titolo V, approvate dal solo centro-sinistra (2001); l’ampia riforma costituzionale,
votata dal solo centro-destra (2005) e poi bocciata dal referendum confermativo (2006); la nuova
riforma costituzionale approvata dal solo centro-sinistra (2016).
Intanto, sotto la spinta dell’antipolitica, lo strumento del referendum
da quesito sul merito di una specifica legge si è trasformato sempre più
in mezzo per mettere in difficoltà chi governa. Matteo Renzi non è
responsabile di tutto questo e ha cercato di superare le trappole della contrapposizione esasperata,
con scelte audaci come il patto del Nazareno, che gli ha attirato tante critiche. Ma poi è stato spinto
anche lui verso una riforma costituzionale a maggioranza.
Una scelta legittima, forse necessaria, ma
certamente senza la forza di un nuovo patto costituente. È probabile che, comunque vada, il
prossimo referendum non costituirà l’ultima parola: dopo, ci sarà da riprendere uno sforzo forse
ancora più decisivo, per un nuovo patto costituente condiviso da forze, culture e identità diverse.
di Agostino Giovagnoli
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