Pannella, vincitore perdente in politica, ora vede e sente chiaro
Pannella, vincitore perdente in politica, ora vede e sente chiaro
rassegna stampa - AVVENIRE - 28 maggio 2016
Caro direttore,
negli anni 1949-1953 sono stato collega di Marco Pannella ai corsi universitari di Giurisprudenza all’Università di Roma. Non l’ho conosciuto di persona, lui era già famoso in quanto leader dell’Unione goliardica e della Gioventù liberale, il partito radicale sarebbe nato alcuni anni dopo; io ero iscritto all’Azione cattolica, con rispetto reciproco militavamo su fronti opposti, ambedue attivi nelle rispettive aree culturali. Spesso si aprivano dibattiti tra studenti nelle ore di esercitazione del corso di Filosofia del diritto del grande professor Del Vecchio. A uno di questi dibattiti ho preso la parola anch’io ottenendo più consenso del mio contraddittore. A quell’epoca i cattolici erano in maggioranza, nella elezione degli organismi rappresentativi studenteschi la lista di ispirazione cristiana (Azione cattolica e Fuci, scout cattolici di Asci e Agi, Congregazione mariana, Dc) superava il 60%; laici, liberali e giovani comunisti erano in netta minoranza. Passarono gli anni e la situazione cambiò. Pannella divenne un leader di caratura nazionale e impostò molti temi nuovi all’attenzione generale. Parlava da Radio radicale e capii subito che avrebbe inciso molto nella società italiana. Infatti, su temi significativi come il divorzio e l’aborto le sue idee prevalsero. L’Italia cambiava: la cultura cattolica non era più maggioritaria come era invece ai tempi dei miei studi universitari. Non rimaneva che prenderne atto e trarne le opportune conseguenze: cambiare cioè il nostro modo di “essere” comunità vera di cattolici credenti e praticanti. Che fatica però! Siamo a 50 anni dal Concilio Vaticano II e ancora non siamo riusciti ad assimilarlo e a praticarlo come si deve…
Nicola Molè
Signor direttore,
buon dì. Non ho visto in Marco Pannella il grand’uomo che si è andato celebrando in questi giorni. In lui ho visto un misero, uno sciagurato. Le sue illusioni, gli han fatto fare e dire robe da matti; ed esse, con l’illusoria ideologia sessantottina, han contribuito alla decadenza, forse irreversibile, della nostra società. Le laudi sperticate in morte di Pannella (vedo una gara a chi le spara più grosse) sono forse a loro volta il segno dei tempi decadenti che viviamo? Credo lo siano, e così sia. In Marco Pannella ho visto un aborto d’uomo. Stia bene.
Paolo Codecasa
Caro direttore,
do per scontato che questa mia memoria non sarà pubblicata, perché troppo fuori dal coro. Pannella Giacinto detto Marco ha predicato l’omicidio di esseri umani – indifesi perché ancora nel grembo delle madri; ha predicato l’omicidio di esseri umani – indifesi davanti al dolore dell’approssimarsi della morte, o li ha incoraggiati al suicidio. Ha predicato il divorzio, strumento principe per favorire la disgregazione delle società e delle culture. Ha predicato la diffusione delle droghe. Altro strumento per la disgregazione della nostra civiltà. Ha strumentalizzato la mente dei meno accorti con il gioco della (finta) nonviolenza. Ha appoggiato l’omofilìa pur sapendo che fu uno dei fattori della disgregazione della civiltà Greca antica. Non so perché non posso e non mi è dato giudicare, quanto fosse in buona fede. Posso solo dire: che il Signore abbia pietà di lui, perché la storia, "magistra vitae" non ne avrà di certo.
Giovanni Caluri
Caro direttore,
ho fatto la terza liceo classico in collegio dalle suore. Una volta volli fare uno scherzo alle pie suorine disegnando sulla lavagna un diavolo: occhi maligni infossati, naso da rapace, ghigno satanico e corna. Naturalmente venne subito cancellato dalla professoressa di Storia dell’arte che mi diede giustamente della sciocchina. Anni dopo vidi in tv il “mio” diavolo in carne e ossa: per Giove, era Pannella! Gli avevo fatto un ritratto senza conoscerlo. Diabolica è stata ed è la sua ideologia. Ora si grida al crollo demografico, si cercano rimedi come i bonus-bebè, ma troppi si dimenticano dei bambini uccisi prima di nascere con il beneplacito della legge e l’aiuto di medici che hanno rinnegato il giuramento d’Ippocrate.
Federica Gilardoni
Sono passati ormai giorni dalla morte di Marco Pannella, e lui riposa nel cimitero della “sua” Teramo, accanto ai genitori e all’amato nonno. Queste lettere, diversamente amare, testimoniano quanto profondo e rilevante, quanto divisivo e persino repulsivo sia stato il contributo che ha dato da co-protagonista a una lunga stagione politica e civile. È perciò forse utile tornare a riflettere brevemente non solo e non tanto sull’intera parabola dell’astro politico e su diversi fronti condivisibilmente umanitario di Pannella, quanto sul più incandescente dei marchi che la sua battaglia liberal-libertaria-libertina ha impresso nella nostra storia comune. Nella nostra storia comune e, dentro di essa, nella memoria civile di persone le cui voci non trovano spazio, eco e ascolto nell’arena mediatica governata – lui l’avrebbe detto così – da “ladri d’informazione e di democrazia”. Persone che guarda caso si rivolgono spesso e con fiducia alle pagine di questo giornale. Mi colpisce, infatti, ma non mi stupisce che le quattro lettere qui a fianco (tre assai severe col pensiero radicale, una più rivolta ai doveri dei cristiani) siano inevitabilmente attente ai concreti esiti di alcune delle battaglie ingaggiate da Pannella e dai suoi, in particolare a quella per l’aborto come “diritto”. Battaglia che Pannella ha perso in senso tecnico, perché la legge 194 non arriva a stabilire questo e perché il “referendum radicale” per la totale liberalizzazione di scelte e pratiche abortive venne battuto (88,42% di No) assai più duramente del “referendum cattolico” (68% di No) per la totale abrogazione degli articoli di legge che, a certe condizioni, quelle stesse pratiche legalizzavano. Battaglia che, però, ha Pannella sinora vinto in senso politico-culturale, perché lo slogan del “diritto d’aborto” si è accasato stabilmente in troppi consultori pubblici, nel lessico di politici, giornalisti e intellettuali e, purtroppo, anche in tanto pensar e parlar comune. Eppure, insisto, nel diritto positivo italiano il “diritto d’aborto” non esiste.
Su questo specifico punto, personalmente non ho dunque dubbi. E ritengo che tante sperticate lodi a Pannella siano figlie della regola per cui la storia si scrive dalla parte dei vincitori, anche quando si tratta di vincitori perdenti come in realtà Giacinto detto Marco è stato. Sia chiaro, però, che non ho nemmeno dubbi sul fatto che la storia alla lunga si giudicherà solo dalla parte della vittime. Vale anche e forse soprattutto per questa specifica storia di sovversivi e tragici conflitti tra la vita di figli nascenti e la vita di madri già nate, conflitti comunque strazianti, quasi mai giudicabili in modo facile e quasi sempre (ma non sempre) cresciuti nell’evaporazione vigliacca o nell’esautorazione sofferta o con l’istigazione cinica di padri assenti. Insisto anche su questo: la parte della vittime è l’unico verso giusto per capire dove sta il bene e dove il male, dov’è l’inerme debolezza e dove la sopraffazione, dove sono le scelte d’amore e dove le decisioni letali, dov’è la difesa della dignità della vita e dove un feticismo di sé e delle proprie idee sull’umano e sul mondo.
Pannella di tante vittime, alla sua maniera, si è fatto carico: vittime dell’intolleranza politica, della guerra, del carcere disumano, dell’illibertà religiosa. Questo è vero e non si può negare. Ma è anche vero che non ha mai saputo riconoscere milioni di altre vittime, magari dedicandosi a risposte vaste e suggestive (come ha raccontato, il 20 maggio scorso, Carlo Casini sulle nostre pagine) piuttosto che alle domande scomode, o magari incaponendosi a chiamare “zigote” quel bambino in arrivo che tanti di noi, oggi come ieri, accolgono e sentono e dicono subito figlio. Non ha visto, Marco Pannella, o non ha voluto vedere, tutti coloro – figli e madri – che dell’aborto sono vittime. Non era un diavolo (anche se tanti lo pensano) e neanche un angelo (anche se tanti altri lo hanno dipinto “laicamente” così), era soltanto un uomo, che ha avuto un suo potere, e l’ha usato e se ne è fatto usare nel bene e nel male. E quando il male usa l’uomo e la donna è sempre devastate, come la lunga storia dell’umanità insegna. Credo che anche di questo stia conversando ora, là dove non c’è fame, non c’è sete e non c’è digiugno se non di luce. Là dove non c’è più bisogno di arti retoriche. Io credo che ora veda chiaro, e senta e soffra tutto l’inascoltato.
Marco Tarquinio